23 April 2014

Di Pasqua e delle sue pedalate

Anche nelle feste comandate l’allenamento non si interrompe. Un’uscita in bici nel giorno di Pasqua può riservare incontri simpatici (di Carlo Brena)

Di pasqua e delle sue pedalate

Capisci che è il giorno di Pasqua perché ci sono in giro molti meno ciclisti di quelli che ti aspetteresti con un sole meraviglioso come quello di oggi. Siamo così in pochi sulle strade intorno al Lago d’Iseo che molto spesso, quando ci incrociamo in senso contrario, ci scambiamo un saluto. Evento rarissimo. Movimento leggero, staccando leggermente la mano dal manubrio. Un po’ come fanno i motociclisti.

Siamo in pochi, ma tutti a menar sui pedali. Un paio di sudamericani del Team Colombia sono a tutta. Poi tre o quattro squadre di amatori, belli con la loro divisa tappezzata di sponsor: Macelleria Rossini, Pizzeria da Gino, F.lli Vedovelli Elettricisti. E anche Carrozzeria Nuova Auto. Aborro le magliette dei team ciclistici, anche se in realtà penso che dietro a quella etichetta c’è un signore che ha un po’ di passione e sgancia due lire per fare una divisa uguale per tutti i suoi amici.  Li riconosci perché hanno un fisico (leggermente) fuori peso, pedalano con le gambe larghe e il casco non sempre centrato sulla testa. Sono bellissimi. Soprattutto quando si fermano per la sosta caffè. In bici non parlano mai, ma appena si siedono a un tavolino di un bar diventano imperiosamente loquaci. Li osservo e sorrido.

Li osservo e vedo che il più grasso si avvicina a me e alla mia Colnago: “Quanto pesa?” Io guardo la bici e dico: “Credo sette, otto chili”. E lui: “No, dico lei. Lei quanto pesa?”. Dico: “82…”. “Anch’io trent’anni fa”. E prosegue verso la cassa a pagare. Finisco di girare lo zucchero nel caffè, lo bevo e riparto pensando a quella quintalata di ciclista. Sarnico si sta svegliando nella giornata di Pasqua: un piccolo mercatino artigianale, i camerieri che vanno avanti e indietro dai tavolini a servire cappuccini e brioches. Più tardi faranno la sponda con i primi aperitivi: patatine e olive sono già pronte sul bancone. Incrocio due in mountainbike, di quelle comprate all’Esselunga con i punti Fidaty. Hanno le scarpe da ginnastica e i calzini bianchi al ginocchio. Un marsupio penzola sulla destra. Voto allo stile: zero.
Ho il lago d’Iseo sulla sinistra, sono in terra bresciana. Oggi faccio solo pianura, niente salite. La corsa di due giorni fa mi ha lasciato le gambe dure e doloranti. Quadricipiti pieni di lattato. “Tutta colpa delle nuove scarpe da corsa”, penso.  Intanto ne approfitto per pedalare e metter su chilometri. L’Ironman di Kalmar è solo fra quattro mesi. Da casa mia fin qui sono una trentina di chilometri: mentre guardo il Garmin mi superano cinque “colleghi”. Menano da far paura. Istintivamente mi accodo. Scendo di un dente e inizio a limare la ruota dell’ultimo vagone del treno. I cinque mi danno un passaggio per una quindicina di chilometri, poi li mollo al loro destino. A sinistra c’è Montisola: la macchia dei boschi è verde scuro. Proseguo alla mia andatura verso nord.

Arrivato a Marone c’è lo svincolo a destra che porta a Zone, dove una settimana prima sono salito a vedere le torri di pietra. Oggi tiro dritto, niente salita! E finalmente vedo il bivio della ciclabile: svolto a sinistra ed entro nel paesino di Vello. C’è un papà che insegna al suo figliolo come andare in bici. Due signore e tre labrador si fermano a chiacchierare nello spazio libero lasciato accessibile dalla sbarra: faccio notare che con tutto il posto che c’è proprio lì dovevano fermarsi. Mugugnano ma si spostano. Lungo la ciclabile uomini di mezza età avvolti in K-Way colorati corrono convinti che sudare equivalga a dimagrire. E forse credono che anche la musica nelle orecchie aiuti a bruciare i grassi. “Guarda e non ti curar di loro”. Dopo 8 chilometri la ciclabile mi ributta nel traffico della provinciale. A Lovere è un continuo zig zag tra le auto che rallentano al passaggio nel paese: non vedo l’ora di iniziare la strada che costeggia il lago verso Sarnico. Accidenti, non avevo considerato una cosa: il vento. E naturalmente il vento è sempre contro. Anche oggi. L’acqua del lago è increspata, le punte dei pini si piegano sotto la spinta del vento. Di ciclisti a cui succhiare la ruota neanche l’ombra. Ti pareva. È due ore e mezza che sto pedalando e mi mancano ancora 50 chilometri prima di arrivare a casa. Forse è il caso che mandi un sms del
tipo: “Tranquilla, sto arrivando…”. 

Mentre pedalo penso di trovarmi esattamente nella seconda frazione dell’Ironman di Kalmar: su in Svezia il vero avversario sarà il vento. Ho letto su un forum che la scorsa edizione hanno evitato di usare le ruote a profilo alto proprio a causa delle raffiche di vento. E allora ventre a terra e proviamo a spingere. Dura, molto dura. Ma è forse più dura per la testa che per le gambe. Spingere contro il vento è una questione di “pensiero”, bisogna crederci, e stare concentrati. Serve una tecnica mentale per non lasciarsi andare. Alzarsi e arrendersi è questione di un attimo. Un falsopiano in salita mi costringe a salire in piedi sui pedali, e le gambe dicono stop. Bandiera bianca. Mano destra nel taschino e sfilo un gel. E già che ci sono anche una barretta. Sono arrivato a Sarnico. Gli ultimi 30 chilometri verso la tavola imbandita sono fatti in agilità. Entro in caso e
vedo il resto della famiglia che pazientemente mi ha aspettato. Sotto la doccia penso al ciclista oversize che mi ha chiesto il peso: chissà quanti agnelli si mangerà oggi. Per non parlare delle colombe. (Carlo Brena)

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