05 June 2014

Quando si dice aver finito un 70.3

A Pescara il nostro triatleta conclude l'Ironman sulla mezza distanza raccogliendo visioni e vedute che solo indossando il pettorale è possibile cogliere. Dedizione, preoccupazione, tenacia, fatica e un pizzico di ironia, perché non bisogna mai prendersi troppo sul serio (di Carlo Brena)

Quando si dice aver finito un 70.3

"Hei Giovanni, iu ar a finiscer". La musica è assordante, le casse nere gracchiano nomi di battesimo seguiti da quella infernale frase. "Marco, iuar a finiscer". Nomi infilati come arrosticini. "Fabio, Matteo, Francesco... iu ar a finiscer". Ho appena concluso la mia gara, e non ho ancora capito che cosa devo fare. Prendo una bottiglietta blu di acqua minerale, di quelle da un euro e cinquanta all'Autogrill di Agrate: la apro e la bevo. Rutto. La finisco con un secondo sorso mentre cerco un cestino dove buttarla, ma desisto. I cadaveri di altre bottigliette giacciono ai piedi della tenda della protezione civile, la lascio scivolare perché si unisca con le altre.

"Annalisa, iu ar a finiscer". Guardo il tempo del Forerunner al polso, e mi godo quei numeri in sequenza: zero cinque, due punti, ventitre, due punti, cinquantaquattro. Una decina di minuti sotto l'obiettivo, e non ho nessuno a cui dirlo. Vedo un lettino da spiaggia, mi avvicino e mi sdraio, ma prima apro il body e sfilo le braccia dalle spalline. "Un altro non so chi, iu ar a finiscer". I raggi del sole, ecco quello che voglio, mentre rivedo il film della gara, e conto il portafoglio di sentimenti di questo weekend. La preoccupazione per la frazione di nuoto di ieri, con quel mare che non voleva saperne di acquietarsi, di stare buonino, di stare calmo. Accidenti a lui, e a quelle onde che sembravano colpi di cazzuola. Poi la news due ore prima del via: "La frazione di nuoto ridotta a mille metri". Peccato? No. Per fortuna? Non so. Di certo nuotare così non mi diverte, ma tant'è. Entro nella zona cambio per attaccare i gel alla bici. Non ho molta voglia di parlare, sono molto concentrato. Incrocio Luca e i suoi tatuaggi. Ha gli occhiali bianchi che gli abbiamo regalato. Ci salutiamo con quella strettadi mano cool tipica della gente di sport, mica quella formale tipica degli uomini di affari. Avevo ciattato con lui al mattino. Patrizia è lì al suo fianco. Ci risalutiamo. Io vado verso la piazza, quella con la Nave di Cascella, e inizio il rituale della vestizione. Mettere la muta è come indossare la tunica arancione di un monaco buddista. Due pensionati, credo lombardi, mi guardano curiosi e commentano mentre con il guanto di lattice mi spalmo di vaselina il collo e le ascelle: uno dei due ha le mani dietro la schiena, gli occhiali del secondo sono scivolati sulla punta del naso. Dai cantieri di Milano al lungomare di Pescara.

Entro in griglia e sono pronto. Almeno credo di esserlo. I dolori della vigilia sembrano essere spariti e il cardio dice 68 battiti al minuto. E chi se ne frega: sono al via dell'Ironman 70.3, what else? Dopo la prima boa sono bello tonico, combattivo come un gladiatore nell'arena. Dopo la seconda boa capisco che dovrò allenarmi un po' di più in piscina. Dopo la terza boa vorrei un rosario a cui attaccarmi per chiudere in preghiera questo mille di nuoto.

L'uscita dall'acqua è sempre un momento liberatorio, come dire, ha l'atmosfera del survivor. Entro in zona cambio e cerco di essere veloce: l'indomani guardo il tempo di frazione in T1, sei minuti e trenta. Praticamente ho preso residenza. Anche nei cambi dovrò migliorare un po'. Non so perché ma come salgo in bici mi viene un fottone di rabbia e aggressività e inizio a superare tutti e tutto, persino una Guzzi azzurra. Era un poliziotto. Alla prima salita ridimensiono le mie velleità ciclistiche e torno ai miei 90 chilometri da sorseggiare come un Montepulciano d'Abruzzo. Ci ritroviamo nella tangenziale di Pescara chiusa al traffico, e provo un certo senso di potenza, di protagonismo.

L'entroterra abruzzese è bello, meno dolce delle colline toscane, ma con un gran carattere, persino rugoso. Amo questa terra di rugbisti e olio extravergine. Sulla terza collina io e uno che aveva esattamente un numero in più rispetto al mio entriamo nell'ombra di una nuvola color canna di fucile e tempo dieci minuti ci ritroviamo sono uno scroscio di acqua fatto di goccioline fredde come aghi d'acciaio che martellano le nostre spalle nude ed entrano persino nelle fessure del casco. E per chi non ha capelli, come chi scrive, ogni goccia sulla pelata è una rasoiata. In discesa i freni fanno il loro lavoro. In pianura tocca alle gambe. Le salite son finite. La media è di 30 km/h, wow, che fenomeno, ma dopo poco mi passano due sciatori al doppio della mia velocità: sullo stradone verso Pescara si danno persino il cambio, mentre uno dei due continua a voltarsi indietro preoccupato della presenza di giudici dal giallo facile. Simpatici.

Ora sento la voce degli speaker. Ci siamo. Zona cambio, T2. Lascio la bici: ho voglia di correre, ho voglia di capire fino a quanto posso resistere. Infilo le scarpette e apro una Red Bull che avevo lasciato nel sacchetto rosso. Mi butto tra due ali di tifosi, come fossero le fauci di un drago, ma è "solo" la terza frazione, la mezza maratona. Quattro giri da cinque chilometri o poco più. Il primo chilometro a 4'20", ma dove vuoi andare? Il secondo chilometro ritorno umile a cinque al chilometro. Dei ragazzini mi porgono le spugne: non ci posso credere, hanno la forma della M di Ironman.

Una chicca. Non le getto via, ne tengo due per ricordo e per farci una foto da allegare all'articolo. All'ultimo giro strappo la macchina fotografica dalle mani del mio ragazzo, la metto in modalità video e mi preparo un videoselfie del mio arrivo. Ho male alle gambe, ma ormai vedo il gonfiabile Brooks, lì a fianco c'è il budello finale che porta al traguardo. Accendo la Nikon e la tengo lì davanti col braccio teso. Qualcuno dal pubblico ride, altri applaudono, i due pensionati mi guardano, hanno i gomiti appoggiati alle transenne, mi vedono ma non credo abbiano capito le mie intenzioni. Trebambini allungano la mano cercando il cinque. Gli ultimi cinquanta metri valgono un Ironman, anche se mezzo, quello intero lo farò a Kalmar a metà agosto, questa è stata la migliore delle prove generali. Faccio anche lo sprint, finché sento: "Hei carlo, iu ar a finiscer".

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Le ultime News
Il Turismo
Tutto Salute