di Alberto Zampetti - 28 December 2022

Vittorio si è fermato

Vittorio Adorni, fuoriclasse degli anni Sessanta, si è spento a 85 anni. Dopo una carriera agonistica ricca di successi, è restato a lungo nel mondo del ciclismo con diversi ruoli istituzionali. Da cui è sempre emersa una persona splendida, che ha lasciato un grande ricordo in chiunque abbia avuto occasione di conoscerla.

Così, all’improvviso, alla Vigilia di Natale, quando tutti eravamo già con la testa persa tra i regali sotto l’albero e la Messa di mezzanotte, quando il clima di festa era ormai così intenso che lo potevi toccare, è arrivata la notizia a rovinare tutto: “Ciao Vittorio, salutami papà”, ha scritto Norma Gimondi, la figlia di Felice, con una delicatezza d’animo struggente, per stemperare - per quanto possibile - il dispiacere che si è riversato subito nel cuore di ogni appassionato di ciclismo. È il destino che non ti aspetti. Sul più bello, ti salta la catena.

Gli Over 60 probabilmente se lo ricordano ancora in gara, spesso intervistato durante le fasi meno concitate della corsa (allora si poteva) oppure, altrettanto spesso, lui stesso intervistatore, con registratore a tracolla e microfono, inviato di Mamma Rai che stava scoprendo il ciclismo grazie alle intuizioni geniali di Sergio Zavoli.

Un uomo attento e misurato, una persona gentile e disponibile, mai una parola fuori posto e sempre un’attenzione per tutti

Io, che ero troppo piccolo per vederlo correre, l’ho conosciuto - come tanti miei coetanei - nelle biglie della spiaggia, anche se tenevo a Gimondi. Avevamo poche regole: i primi tre del giorno prima potevano scegliere i corridori, gli altri pescavano a caso nel retino. Gimondi era il primo ad andar via: tutti tenevano a Gimondi con gli occhi rotondi, la faccia quadrata, la bici scassata (che poi non ho ma capito cosa significasse questa filastrocca che riecheggiava in tutte le scuole elementari dei primi anni Settanta...). Poche regole, ma molta fantasia: giorno dopo giorno, un tabellone riportava i risultati e i punti assegnati (5 al primo, 3 al secondo, 1 al terzo. L’ultimo, invece, il giorno dopo non poteva correre. A eccezione, ovviamente, di Gimondi). Adorni vinceva spesso, era sempre in alto nel tabellone. E così abbiamo preso familiarità con quel nome.

Quel nome che avremmo ritrovato più tardi, quando dalle gare a biglie saremmo passati alle corse vere e lui faceva il commentatore tecnico in tv: al mattino ci si scannava tra esordienti e allievi e al pomeriggio si sognava con le sue parole. Poi la carriera nell’UCI, l’assessorato allo Sport al Comune di Parma (la sua città), l’impegno nel Premio internazionale Sport e Civiltà e mille ospitate per premi e riconoscimenti (il Collare d’Oro del Coni, una laurea honoris causa, il “Trofeo senza Fine” che lo colloca nella Hall of Fame del Giro d’Italia e molto altro), da cui è sempre emerso un uomo attento e misurato, una persona gentile e disponibile, mai una parola fuori posto e sempre un’attenzione per tutti. Un vero signore, che oggi - nell’era dell’“Ehi, capo...” - andrebbe preso ad esempio generazionale.

In questi giorni, siti web e giornali ricordano le sue vittorie; ed è bello, giusto e doveroso che sia così. Per chi se lo si ricorda in corsa e per chi non lo ha visto in bici, lui monumento di un ciclismo molto diverso da quello di oggi, un ciclismo praticamente solo europeo, anzi italo/franco/belga, capace comunque di scrivere alcune tra le più grandi storie del pedale universale.

Si prenda, ad esempio, la vittoria di Adorni al Mondiale 1968 di Imola, a due passi da casa sua. A 235 km dall’arrivo se ne va con altri sei compagni di fuga che molla man mano per strada. Vi immaginate una strategia così folle, oggi? Si fa gli ultimi 90 km in fuga solitaria e giunge al traguardo iridato con 9’50” su Herman Van Springel e 10’18” su Michele Dancelli. Nessuno ha più registrato un distacco così ampio al Mondiale, per di più con una fuga solitaria. Ed è improbabile (possibile, ma inverosimile) che questo record venga battuto.

Ogni appassionato di ciclismo gli deve qualcosa e lo ricordi come può

Si prenda ad esempio la vittoria di Adorni nella tappa di Bruxelles al Giro del Belgio 1966: è giornata da lupi, nevischio, pioggia e un vento gelido che taglia la faccia. Vittorio non vorrebbe neanche gareggiare e alla partenza è rintanato in un locale per proteggersi dalle intemperie in attesa del via. Che viene dato senza che lui se ne accorga. Parte in ritardo, insegue e rientra. Ma il maltempo rende tutto dannatamente impossibile, al punto che Adorni valuta il ritiro di tutta la squadra, sebbene fosse secondo in classifica generale. Ma la Salvarani, lo sponsor, il giorno dopo avrebbe inaugurato un punto vendita in Belgio, sicché Luciano Pezzi, dall’ammiraglia, raccomanda di resistere, per evitare una pessima figura davanti alla dirigenza aziendale, salita apposta per l’evento. Fu così che Vittorio, incurante del gelo, si involò verso il traguardo, vinse in solitudine e fece suo - primo italiano in cinquanta edizioni - il Giro del Belgio.

Adorni in carriera ha vinto tanto, con un palmares ben più ricco del tabellone delle biglie. Oltre ai citati Mondiale e Giro del Belgio, ci sono il Giro di Sardegna (1964), il Giro d’Italia (1965), il Tour de Romandie (due volte, nel 1965 e nel ’67), il Giro di Svizzera (1969), diverse tappe nei vari Giri a cui ha preso parte e parecchie corse di un giorno, tra cui la Coppa Bernocchi.

Ha chiuso gli occhi la Vigilia di Natale, a 85 anni. Ogni appassionato di ciclismo gli deve qualcosa e lo ricordi come può: chi crede, una preghiera; chi non crede, un pensiero.

Il saluto di Norma Gimondi

© RIPRODUZIONE RISERVATA