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I luoghi del ciclismo: Colle del Ghisallo

Dopo il Colle del Melogno affrontiamo un'altra salita molto cara ai ciclisti: il Ghisallo. È davvero una meta di pellegrinaggio per tutti gli appassionati delIe due ruote che vi trovano cimeli di campioni di ieri e di oggi ben custoditi nel santuario e nell'annesso museo. ll versante più nobile del Colle parte da Bellagio, è lungo 8.6 chilometri e ha una pendenza media del 6.2% con punte al 14%

Il piccolo Santuario della Madonna del Ghisallo.

In origine, stando alle cronache del tempo, il tratto di strada tutto all’insù che da Erba permetteva di arrivare fino a quota 754 metri sul livello del mare prima di planare sul comune di Bellagio era noto semplicemente come la salita di Magreglio. Non ci sarebbe voluto molto però perché, a suon di imprese realizzate a colpi di pedale, a identificare quell’asperità posta tra i due rami del Lago di Como non fosse più il nome del paese d’ubicazione bensì quello del piccolo santuario di origine medievale eretto in vetta in onore della Madonna alla quale, secondo la leggenda, un certo conte Ghisallo avrebbe chiesto protezione per sfuggire a un gruppo di briganti: la Madonna del Ghisallo.

Oggi, per questioni di brevità, la salita al Santuario della Madonna del Ghisallo in gergo colloquiale viene abbreviata ed è conosciuta universalmente come Ghisallo ma, anche così, la sostanza non cambia: il nome infatti, nel secolo scorso come ai giorni nostri, richiama alla mente un luogo sacro agli adepti di due fedi differenti, quella cristiana e quella delle due ruote. Detta così, questa potrebbe sembrare quasi una bestemmia e invece, dal 13 ottobre 1949, con il pontificio ufficiale di Papa Pio XII, la Madonna del Ghisallo è stata effettivamente eletta “Patrona dei Ciclisti Italiani” diventando un’icona sempre più venerata e conosciuta non solo in ambito religioso ma anche, se non prima di tutto, ciclistico.

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alcuni cimeli che si trovano nel piccolo santuario del Ghisallo. appartengono ai ciclisti di ieri e di oggi e ad un certo punto son diventati così tanti da richiedere la necessità di uno spazio più ampio, che poi divenne il Museo adiacente.

Le glorie di ieri e di oggi

Perché tal luogo venisse elevato fino a questo punto e acquisisse quel granitico valore simbolico che tutt’ora gli si attribuisce, è stato necessario che la storia, intesa in questo caso come susseguirsi di gesta sportive, facesse il suo corso aiutandolo a conquistarsi un solido posto nell’immaginario popolare collettivo. È dunque a suon di sudore, sbuffi rumorosi, scatti prepotenti, accelerazioni coraggiose e fatica versata dai ciclisti su entrambi i versanti (il versante più nobile del Colle parte da Bellagio, è lungo 8.6 chilometri e ha una pendenza media del 6.2% con punte al 14%; quello più lungo, da Erba, è lungo 16.7 km e ha una pendenza media del 2.9% con un picco del 9%) che questa scalata ha ottenuto progressivamente fama e popolarità, un’operazione questa resa possibile dal profondo sodalizio con il Giro di Lombardia, corsa alla quale ha dato e da cui, come in un gioco di specchi, ha ricevuto la definitiva consacrazione.

Da quando per la prima volta, nel 1919 (anno in cui a battezzare per primo la cima del Ghisallo fu nientemeno che il Campionissimo Costante Girardengo), venne inserita nel tracciato della “Classica delle foglie morte” su proposta di Armando Cougnet, l’asperità lariana ha infatti sempre trovato collocazione nel percorso del Lombardia ad eccezione delle edizioni del 1976, del 1983 e del 1987 e così, abbracciando una dopo l’altra più generazioni di fuoriclasse, ha avuto modo d’incidere sensibilmente in molteplici avvincenti capitoli della storia del ciclismo.

I primi, quelli della prima metà del secolo scorso, hanno visto protagonisti alcune leggende come Ottavio Bottecchia (primo a scalare in gara nel 1923 il Ghisallo da Bellagio), Alfredo Binda (sempre primo in vetta nelle tre edizioni consecutive vinte tra il 1925 e il 1927), Gino Bartali (primo a transitare al GPM nella vittoriosa edizione del 1936) e, soprattutto, Fausto Coppi (cinque volte vincitore del Lombardia e altrettante in carriera primo al Santuario al Lombardia): le loro imprese, tutte assieme, hanno alzato un interesse tale attorno al Ghisallo da portare poi appunto nel 1949, grazie alla sensibilità di Don Ermelindo Viganò e agli omaggi sempre più numerosi e sentiti rivolti alla Madonna da tutti i corridori del gruppo, alla consacrazione della stessa come patrona dei ciclisti.

I successivi invece, quelli a partire dalla seconda metà degli anni 50’ del 1900 fino all’edizione di quest’anno, hanno visto brillare campioni del calibro di Rick van Looy, Eddy Merckx, Felice Gimondi, Bernard Hinault, Michele Bartoli, Paolo Bettini (ultimo a scollinare davanti a tutti in cima e poi imporsi sul traguardo del Lombardia nel 2006) e Tadej Pogacar le cui affermazioni, seppur localizzate in epoche differenti e compiute su mezzi, superfici e tracciati diversi, risultano tutte essere unite da un minimo comune denominatore, un ostacolo che, inserito nel percorso tanto lontano dall’arrivo per mettere dislivello nelle gambe dei corridori quanto vicino alla meta per ispirare assoli vincenti, ognuno di loro si è trovato a superare: la salita del Ghisallo.

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Il versante più nobile del Ghisallo: parte da Bellagio, è lungo 8.6 chilometri, ha una pendenza media al 6.2% con punte al 14%.

Il museo: altra meta di pellegrinaggio

Il Ghisallo dunque è un simbolo che resiste al tempo, un luogo dove un eroico e affascinante passato si avvinghia a un presente forgiato da splendidi talenti, dove i fasti del ciclismo che fu si sovrappongono a spettacolari exploit contemporanei andando a formare una lunghissima treccia la cui trama diventa visibile nell’accostamento di maglie e bici di epoche diverse dentro il piccolo Santuario, nel percorso interattivo proposto dal Museo del Ciclismo fortemente voluto da Fiorenzo Magni, nei busti di Binda, Bartali, Coppi e dello stesso Magni che, immobili, osservano ogni anno e ogni giorno l’affannoso pellegrinaggio a pedali di decine di ciclisti, nella polverosa traccia originaria della salita che interseca idealmente quella asfaltata di oggi. Ogni giorno il Ghisallo invita chi si reca sulla sua cima e percorre le sue rampe a immergersi brevemente nelle storie, nei personaggi e nelle vicende che hanno caratterizzato il ciclismo del passato (più o meno recente) per poi riportare tutti alla realtà quotidiana e alle proprie attività non prima di aver lasciato in ciascuno un senso di soddisfazione e serenità che solo gli incontri stimolanti e ben riusciti riescono a ispirare. Sono questo continuo intreccio tra passato e presente e questo delizioso cadeau lasciato ogni volta in dote ai visitatori ad aver reso questo un luogo della bicicletta per la bicicletta, un luogo iconico che, proprio per la storia che racchiude e che vi continua a essere scritta, viene naturale onorare e rispettare, un luogo dove chi va in bici, che sia per qualche secondo o qualche ora, si sente protetto e a casa e, per questo, ha sempre piacere frequentare.

Lo spettacolo del Triangolo Lariano

Tale specificità e il contesto chiaramente rivolto ad accogliere le biciclette e i loro aficionados però non impediscono anche a chi vi giunge con altri mezzi e per altri fini ad apprezzare tutto il resto che questo angolo del Triangolo Lariano ha da offrire. A prescindere dal versante dal quale lo si approcci, nel percorso verso la cima boschi (perfetti nascondigli in autunno di funghi e castagne), pianori e declivi alberati si alternano con continuità ai vari paesini dislocati lungo la strada costituendo una ricca e gradita cornice naturale in cui muoversi fino a raggiungere il culmine della salita. Qui poi la flora si apre lasciando spazio a una vista a dir poco incantevole che permette di abbracciare la porzione di lago e i centri urbani sottostanti e, in particolare, i maestosi profili della Grigna Settentrionale e della Grignetta che d’inverno, non di rado, è possibile ammirare imbiancati. Di fronte a uno scorcio simile è molto difficile restare impassibili e proseguire senza cadere nella (forte) tentazione di una sosta ristoratrice in cui, oltre a tirare il fiato e, volendo, rimpinzare il proprio stomaco, il più delle volte si finisce inevitabilmente per riempire di meraviglia i propri occhi.

È allora, in quel momento in cui si è smontati di sella o scesi dalla propria auto, che ci si rende conto anche della quiete e dell’atmosfera rasserenante che aleggia attorno al pianoro del Santuario, un luogo dove, al contrario dei campioni in gara, fermandosi solo dopo aver percorso i chilometri precedenti in bicicletta è possibile davvero comprendere perché, come recita Il Monumento al Ciclista a pochi passi dall’ingresso del Museo, quei tubi saldati tra loro costituiscano uno “strumento di fatica ed esaltazione” con cui realizzare quanto possa essere bello e appagante, “nell’arduo itinerario della vita”, raggiungere qualsivoglia traguardo contando solo sulle proprie forze.

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