Davide, cosa ne pensi di questo boom del downhill nei parchi?
Prima di tutto bisogna specificare che spesso si parla di downhill un po’ a sproposito. Questa disciplina è molto tecnica, ha ancora un mercato limitato e le biciclette specifiche sono difficili da usare normalmente, dato che non si riesce a pedalare bene in salita. Il boom c’è stato più che altro nel settore dell’elettrico o nel campo delle bici da enduro che poi vengono usate ovviamente anche per le discese in natura o nei parchi. Ma non di dovrebbe parlare di downhill in questi casi, perché il downhill puro si fa in pista, è una sorta di formula uno della mtb.
Il downhill è discesa assoluta, c’è qualcosa di più estremo?
A volte passa l’idea che noi siamo dei pazzi che amano rischiare la vita. Non è così: nel downhill ci vuole molta più testa di quanto si pensi, c’è dietro molta riflessione prima di ogni singolo passaggio o di un salto. Per questo è fondamentale avvicinarsi alla disciplina con gradualità e pensando bene a quello che si sta facendo. Non c’è mai improvvisazione. Il primo giro su una pista che non si conosce si va sempre piano, perché non sai quello che puoi trovare, serve a controllare e memorizzare i passaggi impegnativi.
Però non si può controllare tutto, e se qualcosa va storto?
Solo l’esperienza ti rende in capace di gestire gli imprevisti, saper cosa fare quando le cose si mettono male, e nel caso anche saper cadere. Cadere fa parte del gioco quando ci si spinge oltre i limiti, ma nessuno lo fa volontariamente o per il gusto di osare. Bisogna sempre alzare l’asticella gradualmente, in funzione delle proprie capacità. Ci sono anche i guasti tecnici, ma sono rari e molto difficili da prevedere. Importante però è controllare sempre dopo ogni uscita che la bici non abbia subito danni, che non ci siano piccole crepe.
Il downhill non è una disciplina da pazzi, dietro a quello che facciamo c’è molta pratica, molto allenamento e studio
Non è uno sport per chi ha il gusto di farsi male, quindi?
Assolutamente no: questo sport non vuol dire farsi male, ci mancherebbe, nessuno vuole farsi male! E mi dispiace che si pensi così, c’è molto pregiudizio, soprattutto tra i genitori. Si pensa che il downhill sia una disciplina da pazzi che vanno ad ammazzarsi, ma non è così: dietro a quello che facciamo c’è sempre molta pratica, molto allenamento e studio. Certo il rischio c’è ma non è più rischioso di altre discipline anche molto popolari, come il calcio: sì, ci sono calciatori che in carriera hanno avuto molti più infortuni importanti.
Cosa ne pensi di chi compra una bella bici e si lancia giù dalle discese senza pensarci?
Penso che ci voglia buon senso: con 10mila euro mi posso comprare una bici fantastica, ma non l’abilità di usarla. Bisogna sempre andare per gradi, anche con una superbici. Il mio consiglio è di cercarsi una squadra, un’associazione sportiva, con internet ormai è facile trovarle, avvicinarsi così gradualmente e iniziare a partecipare a eventi e gare, confrontandosi con gli altri più esperti si impara tantissimo.
Penso che ci voglia buon senso: con 10mila euro mi posso comprare una bici fantastica, ma non l’abilità di usarla.
Dunque, se sul fronte sicurezza bisogna avere un po’ di prudenza e cautela in più, resta tuttavia il problema dell’uso dei parchi, sempre più attuale in questi giorni. Qual è la tua opinione?
Il conflitto si è reso inevitabile con il numero crescente di frequentatori della mountain bike, in particolare durante questi mesi di pandemia. Non voglio difendere i rider, penso non sia una grande idea fare discese troppo veloci nei parchi urbani delle grandi città, sempre molto frequentati da famiglie e bambini, ma li capisco perché non ci sono molti altri posti dove andare, soprattutto in periodi di zona rossa con gli spostamenti limitati. Se ci fossero delle strutture adeguate, la gente andrebbe lì. Spesso sono le istituzioni che fanno orecchie da mercante, ignorano queste esigenze e poi è inevitabile che si producano conflitti. Ci sono tanti strumenti, da una regolamentazione dei sentieri, divisi tra pedoni e bici, alla costruzione di veri bike park comunali come avviene all’estero. Questo è uno dei motivi per cui la pratica del downhill è carente in Italia rispetto alle altre nazioni, proprio perché mancano le strutture pubbliche. Mi auguro che in futuro l’attenzione da parte degli amministratori cambi, voglio vedere nuove generazioni di giovani avvicinarsi a questo sport.
Spesso sono le istituzioni che ignorano queste esigenze e poi è inevitabile che si producano conflitti: ci vogliono più strutture adeguate