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di Dino Bonelli
17 October 2023

L'ultra runner che si allena in sella ad una gravel

Anzi tre: Michele Graglia, ex modello, oggi fra i più forti ultra runners al mondo e ciclista appassionato. Usa la bici, soprattutto gravel e pedala ovunque per allenarsi a correre centinaia di chilometri

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Graglia affronta con la sua gravel un passaggio discretamente tecnico durante uno dei suoi allenamenti in bici.

La gamba è di quelle sportive, anzi di quelle belle e sportive, la pedalata rotonda ed energica, e anche abbastanza aggressiva, ma lui non è un ciclista o meglio non nel senso pieno della parola. Lui è un runner, anzi un ultra runner, uno di quelli che per sentirsi soddisfatti deve correre almeno settanta, ottanta chilometri e se passa i cento sta meglio. Ma per allenare la sua bella gamba tonica a questi sforzi prolungati nel tempo, lui, spesso salta anche in sella alla sua gravel e pesta sui pedali, in uno sforzo costante e continuo che non grava sulle articolazioni già altamente stressate dalla corsa. Il lui di cui stiamo parlando è Michele Graglia, 40 anni, ligure di Taggia (IM), ex fotomodello convertito alle lunghe distanze del running dove si è ritagliato un posto tra i migliori del mondo.

Accadde in Florida

Ma facciamo un passo indietro nel tempo, a quel settembre del 2007 dove il giovane Graglia, allora ventiquattrenne, si trasferisce in Florida per imparare l’inglese e per provare ad inserire l’azienda familiare di floricultura sul mercato americano. Son passati 15 giorni dal suo arrivo a Miami, un temporale tropicale lo induce a ripararsi nel primo bar che trova, e lì, mentre sorseggia un caffè, viene notato da un a donna che lo invita al quinto piano dello stesso palazzo dove lei dirige un’importante agenzia di modelli. La casualità del temporale scrosciato nel posto giusto al momento giusto, unita al fiuto della donna e all’oggettiva bellezza del giovane, fanno sì che Michele in un paio d’anni diventi un’affermato top-model che posa per le riviste e sfila sulle passerelle dell’alta moda di Miami e New York. Una vita da sballo, piena di successi ed eccessi, ben raccontata nel libro Ultra scritto a quattro mani con l’amico Folco Terzani. Una vita da sogno che, come colonna sonora, potrebbe avere la famosa canzone di Ian Dury: Sex Drugs and Rock and Roll. Una vita invidiata dagli amici rimasti nella sua amata Liguria, una vita che poi, alla fine, è vuota e non sa di niente.

Il libro che ripercorre la storia di Michele, scritto a quattro mani con Folco Terzani.

Il libro di Karnazes

Sarà il libro Ultramarathon Man dell’ultra runner Dean Karnazes a suggerire a Michele una via di fuga, chiamata sport. Lui che in quegli anni faceva solo un po’ di palestra, qualche sporadica pedalata e jogging per tenere la forma fisica richiesta dall’estroso mestiere. Un libro che lo indirizza verso la libertà degli spazi aperti, dove regna la corsa, quella lunga, dura, che oltre allo sforzo fisico richiede una notevole forza mentale. In breve tempo il giovane ligure inizia a correre più seriamente e si iscrive subito ad una prima gara di 100 km che si svolge nelle Keys, nell’estremo sud della Florida. Prima gara, gestita malissimo in tutto e per tutto, un ritiro con tanto di svenimento e ricovero in ambulanza mentre il neo runner era inaspettatamente in testa, una sconfitta che comunque, con l’adrenalina che ricomincia a scorrere nelle vene, sa di vittoria. Il dado è tratto, la via è segnata. Il fisico risponde bene e, gara dopo gara, con l’accumularsi di esperienza, incominciano ad arrivare i primi risultati. La mente è libera, lo spirito, per troppi anni prigioniero di convenzioni non scritte e trasgressioni esagerate, torna a volare. Il sorriso, fotografia dell’anima, torna a risplendere. Per qualche anno Michele, oramai incapace di stare fermo, porta avanti sia l’affermata carriera da modello sia la nuova attività sportiva, ma i due mestieri non riescono a coesistere, almeno non se si vogliono raggiungere i vertici anche nello sport, così ben presto lascia il mondo dorato e viziato delle passerelle e si dedica a quello ben più sporco e duro dell’ultra running.

Momento di relax, con i piedi a mollo, dopo una delle massacranti tappe attraverso i 1.703 km del deserto del Gobi (Mongolia).

In sella e via!

Un bosco scuro tagliato in due da una pista sterrata, una sagoma atletica la percorre su una bici. Una strada grezza, leggermente ghiaiosa, che alla fine del bosco si allunga nella luce di un sole estivo che esalta i colori del magnifico panorama circostante. Un percorso perfetto per una gravel, con lo sterrato, non troppo estremo, che permette di spingere bene sui pedali, con le pendici del massiccio del Monte Bianco che accompagnano sulla destra, mentre al centro della valle, il torrente brontola il suo scorrere. La pedalata decisa va di pari passo ad uno sforzo, mai massimale, ma sempre sufficientemente intenso al fine di produrre l’allenamento muscolare richiesto. Lo stile, leggermente ondeggiante, forse non è dei migliori, ma se ne vedono anche tanti peggiori. Il sorriso, che talvolta si storce in una smorfia di fatica, è quello solito e bello di un ragazzo che ama la vita.

Uscita gravel in un bosco della Val Veny, a due passi da Courmayeur, in Valle d’Aosta.

La Milano Sanremo a piedi

Come alcuni dei protagonisti del ciclismo moderno, vedi Van Aert e Van der Poel, o Pidcock che pedalano e vincono sia su strada sia nello sterrato, e ultimamente anche su neve, Michele corre e vince su tutti i terreni. Infatti, dopo un paio d’anni di successi in gare minori, nel 2014 s’impone sull’asfalto dell’Ultra Milano Sanremo, che con i suoi 280 Km ripercorre la classicissima del ciclismo di primavera. L’anno seguente, percorrendo i sentieri che dal Piemonte salgono e scendono fino alla Costa Azzurra, arriva solo, e a mani al cielo, sul traguardo del Cro-Trail (120 km). Nell’inverno 2016, in Canada, Michele vince la Yukon Artic Ultra, una 160 km su neve, in completa autosufficienza, che con i suoi -40 gradi centigradi è l’ultra-marathon più fredda del mondo. Nel 2017, complice i tanti impegni per la pubblicazione del libro, gareggia poco, ma è comunque secondo nella Run Iceland, una bellissima gara a tappe nella terra dei vichinghi. Ovviamente tra le varie gare, nei vari anni, la quantità e la qualità degli allenamenti s’intensifica e alla corsa classica Michele aggiunge la fluidità della pedalata che inizialmente è solo su strada, con qualche rara uscita di mountain bike. Il 2018 è l’anno della consacrazione. Fine luglio, Death Valley, California, uno dei posti più torridi del mondo. Alle 11 di notte, con 46 gradi soffiati in faccia da un venticello infuocato, parte nell’epica Badwater 135, un’ultra di 217 km completamente su asfalto. Un bitume rovente che s’incolla alle suole delle scarpe. Corre usando testa e gambe e, quando serve, quando le energie evaporano ai 53 gradi diurni di quel sole implacabile che fa di questa gara l’ultra-marathon più calda del pianeta, usa esperienza e cuore. Dopo quasi 24 ore di pura fatica e oltre 4.000 metri di dislivello positivi percorsi, nuovamente nel buio della notte, alza con le mani il nastro al cielo e diventa il primo italiano a vincere questo massacrante gara monumento. Con questo successo, quindi, diventa anche il primo atleta al mondo ad aver vinto l’ultra più fredda e quella più calda del pianeta. Un paio di mesi dopo, entra nel Guinness dei primati attraversando di corsa i quasi 1.000 km del deserto dell’Atacama, in Cile, esperienza che ripete l’anno seguente dove in 23 giorni attraversa, ovviamente di corsa, i 1.703 km del ventosissimo deserto del Gobi, nel sud della Mongolia. Nel 2020, per continuare a citare solo i risultati più eclatanti, Michele s’impone nella Moab 240, un ultra trail di 395 km tra il deserto, i canyon e le aride montagne dello Utah.

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Michele nel deserto dell'Atacama.

Folgorazione gravel

Estate 2021. Partito dalla sua momentanea base logistica sita nel campeggio La Sorgente, in Val Veny, a pochi chilometri da Courmayeur, alta Valle d’Aosta, Michele pedala senza una meta fissa, ma solo con l’obiettivo di far girare la gamba e rifinire una preparazione che lo porterà poi al via dell’ennesimo ultra trail. Dopo anni di allenamento pedalato su strada, ottimo per la fluidità della sua azione, e dopo diverse gite in mountain bike, attrezzo che adora per le situazioni naturali in cui si utilizza, ma che trova troppo incisivo sui quadricipiti, mentre a lui la bici deve dare il giusto ritocco muscolare generale, ora Michele ha scoperto la gravel. La leggerezza e la scorrevolezza della bici da strada unite alla libertà d’azione della MTB, insomma il connubio che lo veste a pennello, l’attrezzo che gli può dare quello che cerca, ovvero la rifinitura atletico muscolare e lo svago per la testa. Ruote leggermente tassellate quindi, per un allenamento che nel suo caso oltre che completo è anche complementare. In salita pesta con la determinazione di chi ha la gamba per farlo e sa quello che fa, nei lunghi tratti in piano se la gode anche sotto uno sforzo intenso e costante, mentre in discesa cerca un totale controllo obbligato da una moderata prudenza. Un’eventuale caduta, anche se banale, potrebbe compromettere mesi di allenamento. D’altra parte, a lui non serve andar forte ora, seduto su una sella e con un manubrio in mano, a lui, ex modello dal sorriso contagioso, serve andar forte a piedi, di corsa, e mantenere un buon ritmo per quell’infinità di chilometri richiesti dal mondo ultra, termine latino che significa “oltre, più in là”.

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