di Alberto Zampetti - 17 April 2022

Dylan Van Baarle ha vinto la Parigi-Roubaix

Il corridore olandese domina la corsa del pavé, attacca nel settore 5, si presenta nel velodromo tutto solo e conquista la Regina delle Classiche.

Tu aspetti l’olandese ed eccoti l’olandese che non ti aspetti. Alla partenza, tutti gli occhi erano puntati su Mathieu Van del Poel, dato per favorito; all’arrivo tutti gli applausi sono dedicati a Dylan Van Baarle, un altro tulipano, sbocciato a sorpresa (non troppo, a dire il vero) nel Vélodrome André-Pétrieux, periferia orientale di Roubaix, la porta della gloria.

Van Baarle ha allungato nel settore di Camphin-en-Pévèle, lasciando al loro destino uno sparuto gruppo di reduci, sopravvissuti alla battaglia con polvere, pietre e tutto il campionario della sfortuna (cadute, forature e incidenti vari), che in questa gara è sempre regina quanto la corsa. L’olandese, due settimane fa secondo al Fiandre, ha preceduto il belga Wout Van Aert e lo svizzero Stefan Küng.

169 i corridori partiti da Compiègne (alla fine ne arriveranno 107): subito pancia a terra e via a tuono, con la prima ora che registra la media folle (siamo alla Roubaix...) di 48,8 km/h. Una velocità che non permette alcuna fuga di giornata, lasciando presagire che i primi 90 chilometri - quelli che anticipano i tratti di pavé e che di solito rappresentano una corsa all’interno della corsa, per mordicchiarsi prima di sbranarsi - sarebbero stati un veloce trasferimento.

E invece la Ineos apre subito le danze, approfittando del vento laterale per spaccare il gruppo in due e cogliere alla sprovvista molti favoriti. Nella rete cadono pesci grossi, tra cui Florian Vermeersch, Mathieu van der Poel, Mads Pedersen, Kasper Asgreen e altri, che arrivano a subire un ritardo di 1’15”. Sono costretti a un inseguimento suicida su un percorso che è tutto un saliscendi (più sali che scendi, per essere sinceri).

La situazione si ricompone solo nei primi settori di pavé, dove la sfortuna inizia a dare il meglio di sé: Filippo Ganna, splendido e generoso, fora e il tentativo dell’Ineos perde vigore. A Saint-Python (settore 27), una caduta di massa rompe definitivamente il gruppo, già sfilacciato. D’ora in poi, si naviga a vista in una miriade di gruppetti più o meno numerosi.

Poco prima della Foresta, sale in cattedra Matej Mohoric (sì, quello di Sanremo), in giornata di grazia. Si porta via Davide Ballerini, Casper Pedersen, Tom Devriendt e Laurent Pichon; ma a oltre cento chilometri dall’arrivo, dove vuoi che vadano? E invece vanno, purtroppo senza Casper Pedersen e Ballerini, fermato da una foratura ad Arenberg.

Nel settore 13 (Orchies, km 197), Nathan Van Hooydonck butta giù un dente (forse anche due) e dà una sgasata da F1, segno che il suo capitano Van Aert - che ad Arenberg sembrava bollito - è tutt’altro che cotto. È l’azione da cui nasce il gruppetto che si sarebbe giocato la vittoria con i tre rimasti davanti: Mathieu van der Poel, Guillaume van Keirsbulck, Wout van Aert, Stefan Küng, Ben Turner, Dylan van Baarle, Yves Lampaert, Florian Sénéchal, Jasper Stuyven, Adrien Petit, Taco Van der Hoorn e un tenace Matteo Trentin. Per tutti gli altri è notte fonda.

Tra forature, cadute e guasti meccanici, settore per settore la scure della sfiga continua il suo gioco. Ne fanno le spese Trentin, Van der Hoorn, Van Keirsbulck, Pichon e Sénéchal, mentre ai meno 25 Van Baarle e Lampaert raggiungono i fuggitivi Mohoric e Devriendt. Foratura di rito anche per Mohoric, che è in giornata di grazia e rientra; ma non ha grazia sufficiente a rintuzzare l’allungo dell’olandese, che gli prende tre metri, sette, una decina, quindici secondi, trenta... All’arrivo saranno 1’47”. Il nuovo re delle pietre per la regina delle classiche.

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