a cura della Redazione - 01 September 2023

È ora di riflettere

La visibilità del ciclista sulla strada non dipende solo dalle diverse condizioni di luce, ma da cosa indossa: capi e caschi chiari, inserti reflex, abbigliamento fluo... facciamo luce sul tema!

La sopravvivenza nel buio del ciclista è legata alla iniziativa del singolo: c'è chi si equipaggia in modo appropriato con luci fissate anteriormente e posteriormente, chi si affida a quelle sottili fettucce reflex applicate su gran parte dei capi che indossiamo, note col nome di code di topo, chi a gilet ad alta visibilità. Sicuramente nella situazione di assenza di normativa che regoli la visibilità di chi si muove sulle due ruote (non solo a pedali), il contributo delle Case diventa importante. Ciascuna azienda è libera di dosare il livello di rifrangenza da spalmare sui propri prodotti, senza alcuna regola da seguire. E in Italia se un tema non è di moda non viene sviluppato. I Paesi Nordici, causa soprattutto condizioni meteo (nebbia, pioggia, ecc.) e di luce, limitanti, sono più sensibili sull’argomento. Sulle strade inglesi, per esempio, è molto più semplice ciclisti spalmati di bande riflettenti. Uno studio neozelandese rivela che chi si muove sulla strada e indossa abbigliamento reflex o fluorescente ha il 37% in meno di possibilità di incorrere in incidenti; quelli che utilizzano un casco bianco anziché nero il 24 % in meno; e, ancora, quelli che utilizzano caschi chiari e non scuri il 19%. Secondo studi della 3M fatti sulla visibilità dei pedoni sulla strada uno che veste abbigliamento scuro è visibile da un automobilista che guida con gli anabbaglianti da 20 metri, spazio che non consente di frenare in tempo e quindi di evitare l’impatto; lo stesso pedone vestito con capi chiari è avvistabile da 50 metri. Infine lo stesso anche se vestito di nero ma dotato di inserti rifrangenti è avvistabile da 150 metri.

ABBIGLIAMENTO AD ALTA VISIBILITÀ

Altre ricerche aggiungono che con capi fluo si è visibili da 70 m. I materiali riflettenti Scotchlite della 3M funzionano secondo un principio che non esiste in natura per cui rimandano la luce alla loro sorgente. Sono composti da sfere di vetro “inventate” ai fine della sicurezza negli anni Venti, dall’osservazione degli occhi dei felini che, di notte, rinviano la luce dei fari delle auto. Una superficie riflettente tanto quanto un retrovisore o un trasparente di un faro se sporchi avranno delle performance inferiori, pertanto è bene seguire alcuni consigli per allungarne l’efficacia e quindi anche la vita. Fra le forze dell’ordine i vigili del fuoco sono gli utilizzatori più attenti al tema dell’abbigliamento ad alta visibilità e la loro divisa è l’unica a rispondere ad una normativa, la EN 471, che stabilisce i requisiti per gli indumenti atti a “segnalare la presenza dell’utilizzatore, in situazioni pericolose in qualunque condizione di luce diurna e alla luce dei fari dei veicoli nell’oscurità”. Più semplicemente prescrive quanto materiale rifrangente deve essere presente, ma anche quanto materiale di fondo fluorescente, perché un capo ad alta visibilità lo deve essere anche di giorno, anche perché la nostra visione funziona per contrasto. Catarifrangenza e fluorescenza non sono due sinonimi, tanto è vero che indicano due modi di “illuminare” affatto diversi: nel primo caso la luce incidente sulla superficie di una pellicola retroriflettente, viene rinviata alla sua fonte (mettiamo i fari di un’l’automobile), nel secondo caso ci troviamo di fronte alla proprietà di alcune sostanze (come certi pigmenti fluorescenti con cui sono colorati gli indumenti dei pompieri o dei gilet degli automobilisti) di assorbire luce ultravioletta ed emetterla nello spettro visibile consentendo una “luminanza” anche di giorno. In pratica sono più brillanti. La norma stabilisce anche dove deve essere applicato il materiale reflex. Applicando delle bande sulle maniche, per esempio, l’automobilista capisce che davanti a lui c’è una persona che, appunto, si muove, e non un oggetto. I vigili del fuoco hanno anche sviluppato norme tecniche legate alla loro attività che richiedono al capo particolari doti di resistenza al calore e alla fiamma. Andrebbe fatta una normativa ad hoc per i ciclisti ma nel gruppo di lavoro che nell’UNI si occupa di abbigliamento da bici non si parla di luminosità. Sono stati fatti diversi tentativi in questo senso ma senza successo. Forse anche perché i produttori sanno che l’utilizzatore finale non sarebbe disposto a indossare capi più impegnative sotto il profilo della vestibilità e traspirabilità. Sarebbe necessario stabilire dei requisiti minimi per l'abbigliamento, che possono anche non conformarsi del tutto con la EN 471. Le Case potrebbero decidere, per esempio, che le bande debbano essere inferiori ai 5 cm richiesti, quindi interpellare il gruppo dell’alta visibilità, di cui fa parte 3M, per concordare degli standard accettabili. Ma non ci sono per ora input in questo senso. La multinazionale americana si occupa di visibilità dagli anni ’30, quando non riguardava ancora i tessuti bensì la segnaletica stradale, per cui ha cominciato a studiare i problemi legati alla percezione della cartellonistica (inclinazione, distanza, colori, ecc.) da parte dell’automobilista e, oggi, del ciclista e del motociclista. La diffusione dei SUV ha alzato la seduta degli automobilisti allontanandoli dal fascio di luce prodotto dai fanali; inoltre la diffusione di fanali a scarica di gas, come quelli allo xeno, che producono una luce concentrata sulla strada e meno su tutto ciò che si stacca da essa, complica la percezione.

OCCORRE FARE LUCE!

La nostra partita però si gioca soprattutto nell'ambito delle luci da fissare sulla bici. Assistiamo ancora allo spettacolo di ciclisti che attraversano strade desolate di notte senza avere il minimo equipaggiamento, si tratti di fari o di abbigliamento reflex. Qualcosa va fatto al più presto per sensibilizzare il grande pubblico delle due ruote a pedali. Noi di Ciclismo.it cominciamo con una serie di articoli sul tema... e non ci fermeremo qui.

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