di Jacopo Altobelli, foto di Lorenzo Scarpellini - 25 November 2023

Alta Val Susa tra foreste, strade militari e pietraie lunari

Vi abbiamo già proposto l'Alta Val Susa, lembo più occidentale del Piemonte al confine con la Francia. Ma questa volta sono stati gli splendidi percorsi sterrati della zona a saggiare le ruote grasse delle nostre bici. La neve ovviamente rende impraticabile l'itinerario, noi l'abbiamo affrontato quando i sentieri erano ancora puliti

Chi dice fanteria dice popolo, chi dice fanteria dice eroismo, chi dice fanteria dice elemento decisivo delle battaglie, si legge sulle mura scrostate dal tempo della Caserma XVI. Ma se per la pomposa retorica della Seconda Guerra Mondiale il soldato a piedi era l’elemento fondamentale, per noi cavalieri di più sportive battaglie è decisiva quella bestia da soma a pedali chiamata bicicletta. Anzi, per l’esattezza, e-bike: salire fin qui, agli oltre 2.400 metri del Passo della Mulattiera, lungo dodici chilometri di strada militare che non conoscono tregua fino a questo strategico avamposto arroccato a dominare la valle, in più fermandosi anche a fare le foto, sarebbe stato troppo lungo e sfiancante senza un cuore pulsante nascosto sotto al telaio. Anche se la fatica è stata attenuata dal mezzo che abbiamo usato, non lo è la bellezza selvaggia di questi luoghi di confine, teatro di attese e contese fin dall’antichità.
Siamo tornati in Alta Val Susa, lembo più occidentale del Piemonte al confine con la Francia. Qui gli stradisti conoscono le salite mitiche del Monginevro, del Moncenisio e del Sestriere o gli epici tornanti del Colle delle Finestre, con i suoi cinque chilometri di polverosa strada bianca.
Questa volta però vogliamo esplorare la zona con le ruote grasse, lungo percorsi in quota nei suoi punti più segreti; in alto, dove ogni pietra è segnata dal passaggio di monaci e pellegrini, fuorilegge ed eserciti, mulatiers carichi di reliquie e stoccafissi. Da queste parti passò forse anche il condottiero cartaginese Annibale, per valicare in Italia accompagnato, secondo la leggenda, da 37 elefanti. Tutti questi secoli di Storia fatta di limiti e attraversamenti hanno tessuto un’incredibile ragnatela di strade militari e sentieri, che fanno dell’Alta Val Susa una terra perfetta per l’all mountain e l’enduro, soprattutto per chi cerca un luogo incontaminato dove immergersi completamente nella natura, scoprendo oltre l’orizzonte, ad ogni valico e scollinamento, resti di fortezze, casematte e bunker della Prima o della Seconda Guerra Mondiale. Come la Caserma XVI.


Giorno uno: start da Bardonecchia

Con noi in questa avventura ci sono Federico Palmero e Gigi Lozzi, accompagnatori cicloturistici di Alpi Cozie Bike Guide, associazione professionale radicata in queste montagne un tempo abitate dal regno celto-ligure dei Cozii, che a lungo conservò l’indipendenza dai Romani. Federico è biondo e rassicurante, volto da modello e modi eleganti. Gigi ha l’aria vissuta, è vibrante di energia e all’inizio può incutere soggezione. Entrambi sono accomunati dalla doppia stagionalità della loro professione. Se d’estate sono guide mtb certificate, d’inverno si trasformano: Federico dà lezioni di sci, Gigi di snowboard. Due stili diversi, stesse grandi passioni.
Siamo seduti nel loro van, le bici caricate dietro, e procediamo verso Bardonecchia, punto di partenza del nostro primo giro. Dato che il fotografo Lorenzo Scarpellini, oltre ad essere un biker, è anche lui uno snowboarder di tutto rispetto, entra subito in sintonia con Gigi e iniziano a parlare di “powder”, “grabs” e “tricks”. Salta fuori che Gigi nello snow è stato un professionista e ha partecipato anche a due gare di coppa Europa e al Freeride World Tour, conquistandosi copertine nei magazine dell’epoca. “Era a cavallo degli anni 2000 - spiega senza darsi arie - dallo snowboard alla bici poi è stato un passo naturale, per uno come me che vive in montagna: fare mtb lungo questi sentieri wild mi dava sensazioni molto vicine al freeride, fatte di libertà e contatto con l’ambiente”.
Del resto, tutto qui non può che nascere dall’altra faccia della medaglia, dalla neve. Fu proprio in queste montagne che l’8 gennaio del 1896 l’ingegnere Adolfo Kind compì la prima vera discesa con gli sci di cui si abbia memoria in Italia, dopo aver testato sul tappeto della sua villa torinese quelle due strane assi di frassino inventate nel Nord Europa e arrivate per posta. Da lì a poco sarà un crescendo: nel 1907 al Monginevro si disputeranno gare di fondo e di salto, mentre nel 1909 è la volta dei primi Campionati italiani di sci a Bardonecchia. Tra le prove, anche il temuto salto dal trampolino appena costruito, dove l’anno successivo il norvegese Harald Smith farà registrare il record del mondo. È proprio dal villaggio che porta il suo nome, Campo Smith, dove ci sono gli storici impianti di risalita, che inforchiamo le e-bike, ci districhiamo tra schiere di rider diretti al bikepark bardati con caschi integrali e protezioni degne di condottieri medievali, prendiamo la strada del Vivier e scompariamo in mezzo a un bosco di larici.

Immersi nel bosco

Non facciamo in tempo ad arrivare al famoso forte di Bramafam, costruito a fine Ottocento per difendere lo strategico traforo ferroviario del Frejus, perché svoltiamo verso sud nella carrozzabile del Colomion, uno dei percorsi militari amati dai fuoristradisti. La salita è piacevole e rilassante, siamo immersi nel bosco; tornante dopo tornante le e-bike addomesticano il dislivello che altrimenti sarebbe feroce. Dai 1.270 metri di Campo Smith dobbiamo arrivare a 2.400 metri. Ci fermiamo a fare una pausa caffè al Bar Punta Colomion gestito dal mitico Romanello, vero pezzo da museo dell’epopea sciistica della Val di Susa. Alle pareti ci sono fotografie d’epoca, sfilze di coppe e un cartello in inglese con scritto More Prosecco please. Chissà quante volte saranno passati di qui i vari Agnelli, Dusio e Ferrero e gli allegri rampolli dell’alta borghesia piemontese per la merenda sinoira, con salumi e formaggi mangiati ant el fassolet, nel tovagliolo, oggi ribattezzata con il più modaiolo termine après ski.
Uscendo buttiamo un occhio al cartello dei menù del giorno: “tomini freschi con pomodoro e tagliatelle al ragù”. Ma la strada è ancora lunga e ci rimettiamo in sella. La carrozzabile si apre sempre di più finché non ci rendiamo conto che il paesaggio è cambiato. I pendii sono ora ricoperti di arbusti e sassaiole di rocce grigie e voltandosi si può intravedere, nel fondovalle, le prime frazioni del comune di Oulx, lungo le direttrici del fiume, della statale e dell’autostrada per Torino, che da qui sembra lontanissima nello spazio e nel tempo. Davanti a noi scorgiamo i due piani della Caserma XVI, dove arriviamo dopo una breve salita arrabbiata al Passo della Mulattiera che mi costringe a spingere a piedi. Ci riposiamo sbirciando dalle finestre i muri ricoperti di graffiti. Poi il tempo si rannuvola e minaccia pioggia. “È meglio andare - dice Gigi, prudente in vista del maltempo - scendiamo di quota prima che faccia brutto”. Indossiamo i k-way e scivoliamo dall’altro versante, verso il Col des Acles e la Francia. Qui troviamo due o tre blockhaus, ruderi bellici col tetto e le pareti crollate, silenziosi templi di memoria che sembrano ormai parte integrante del paesaggio. Ma una scritta ci riporta alle battaglie di oggi: "No borders no nation", e forse per un attimo riusciamo a crederci, che non ci siano né nazioni né guerre, guardando tutta questa sconfinata bellezza a perdita d’occhio. Qui il panorama si è trasformato ancora: è carsico e calcareo, fitto di pietraie lunari. Possiamo osservare la Grand Hoche e la Torre di Barabba, sculture di pietra che ricordano le formazioni dolomitiche. Federico fora e ci fermiamo a sostituire la camera d’aria, mentre i due snowboarder tirano dritto a divertirsi in shooting funambolici sulle creste più cattive. Pochi metri e siamo di nuovo in Italia, si rivedono gli alberi. Procediamo veloci lungo un single track a tratti flow, a tratti molto tecnico che richiede attenzione. Ci sono sassi e radici, ci divertiamo di brutto. Non manca molto: abbiamo quasi ultimato questo grande anello attorno agli impianti di risalita che hanno fatto la storia dello sci italiano. Arriviamo alle sciovie di Melezet e ci infiliamo nei percorsi del bikepark per l’ultimo tratto fino al paese dove in un batter d’occhio ci ritroviamo con le gambe sotto al tavolo e le forchette in mano. Non resta poi che fare l’ultimo pezzo lungo la Dora per ritornare al Campo Smith di “Bardo”. Laviamo le bici e risaliamo sul furgone. Mentre scoppia un temporale, c’è ancora tempo per un giro di birre al Filorosso Bistrot, a Cesana Torinese, punto di riferimento per ogni amante del cicloturismo, dove ci si perde ad ascoltare le avventure in giro per il mondo della bella e impavida Sisa, che odia le barrette energetiche e, nonostante i suoi tanti viaggi, ritiene ancora la Val di Susa “il posto migliore del mondo”.

Giorno due: partenza da Claviere

Il giorno seguente partiamo di buon’ora da Clavière (2.760 m), ultimo paese della valle in fondo alla statale 24, al margine orientale del Colle del Monginevro. Passiamo accanto alla chiesetta in pietra che ospita anche la mostra permanente dedicata allo Chaberton, il monte di oltre tremila metri che incombe sopra di noi con le sue spettacolari batterie militari: è il forte più alto d’Europa e un tempo ospitava i cannoni del Regio Esercito. Seguiamo la strada bianca carrozzabile Valle Gimont che ci immette nel bosco di larici incrociando piste da sci e piccoli bacini per l’innevamento artificiale, fino ad arrivare alle baite di Sagna Longa. Siamo nella zona dei Monti della Luna, in uno snodo importante del grande comprensorio del divertimento invernale battezzato evocativamente Via Lattea. Anche dal lato di Claviere, infatti, a partire dagli anni ‘20 del Novecento ci furono veri e propri pionieri dell’arte sciistica. Continuiamo a mezza costa fino ad arrivare alla località Lago Comba Nera e poco dopo ci imbattiamo in un grande edificio bianco a due piani che ci riporta di nuovo al passato. È la caserma Fonte Tana e sugli stipiti privi di porte si leggono ancora i nomi delle varie stanze: refettorio, cucina ufficiali, bagni. Gli interni sono sommersi da scritte e incisioni che stratificano storie e passaggi giovanili. Siamo a due passi dal Lago nero che dà il nome ad una pregiata toma. Al bivio svoltiamo in giù passando da Ponte Chabot sempre lungo strade militari. Svoltiamo a destra risalendo il fianco del monte Coubioun. Qui ci sarebbe anche la possibilità di rimanere più bassi, sempre su mulattiere, continuando paralleli fino alla caserma Chabaud, oggi malga, ma noi procediamo più alti e, dopo un piccolo tratto di portage a causa di una frana, arriviamo a Col Begino. Intanto lo scenario presenta una vegetazione più rada e un orizzonte molto panoramico. Iniziamo un single trail fino a Col Chabaud, dove la valle si apre completamente e ci ritroviamo su un altopiano di pascoli che ricorda le steppe irlandesi. “La vedete quella montagna lì in fondo? - ci interroga Federico con sguardo sornione - quello è il Pic de Rochebrun, che noi chiamiamo il Monviso dei francesi, un po’ per prenderli in giro, dato che è più piccolo e meno maestoso - aggiunge strappandoci un sorriso complice - una montagna bella come la nostra loro non ce l’hanno”. Pedaliamo su un tappeto di morbidi arbusti bassi e ognuno segue la pista che ritiene migliore, facendo attenzione ai punti più paludosi, dove basta perdere l’equilibrio per ritrovarsi con le gambe sprofondate nel fango. Sembra di fare freeride, ci sentiamo liberi e spensierati. Stiamo pedalando a circa 2.200 metri, girando attorno alla montagna e nel farlo siamo già senza accorgercene entrati e usciti un paio di volte tra Italia e Francia. Il segno di questo passaggio lo troviamo in cima a Col Bousson, in un punto molto bello detto Poggio Carabinieri dove, a poca distanza da alcuni ruderi militari, troviamo il cippo con la F che marca il confine. Il tempo di riempirci gli occhi e voliamo giù costeggiando il lago di Fontana Fredda, quasi irriconoscibile a causa della siccità. Ci imbattiamo in un affascinante accampamento di escursionisti a cavallo, per poi giungere alla Capanna Mautino, storico rifugio a 2110 metri di proprietà dello Ski Club Torino, costruito nel 1920 e ricostruito dopo la guerra. Qui c’è una postazione per la ricarica delle bici e ci si può fermare anche a dormire. Facciamo uno spuntino e beviamo un paio di birre, prima di risalire in sella imboccando un’altra strada militare fino a Col Saurel, punto di arrivo della seggiovia più alta. Con una ripida discesa arriviamo al lago Gignoux, detto lago dei Sette colori per le sue sfumature, che si trova su territorio francese. Da qui in avanti rimaniamo nell’antica Gallia viaggiando in quota 2.300 metri attraverso il Col Gondran, fino a imboccare un divertente single trail che ci porta a intersecare in discesa il bikepark di Monginevro. Non arriviamo però fino al paese, rimaniamo un po’ più altri lungo un sentiero che passa dietro alle lettere hollywoodiane con la scritta multicolore MONTGENEVRE. Chiudiamo il cerchio rientrando in Italia, a Claviere, dopo circa 6 ore di splendido giro attraverso ambienti molto diversi tra loro e quasi perennemente oltre i duemila metri di quota.

Due giorni fantastici

Spero vi siano piaciuti questi due giorni - dice la nostra guida Federico – i percorsi che abbiamo fatto sono un ottimo esempio della varietà e della bellezza di questa valle, così ricca di paesaggi e di fortificazioni collegate da strade perfette per la mountain bike, anche in alta quota”. Cita la famosissima strada dell’Assietta, o quella del Sommeiller, la carrozzabile più alta d’Europa, che conduce fino a tremila metri, dove un tempo si praticava lo sci estivo sul ghiacciaio. O ancora la Strada militare 79, con la sua memorabile e inquietante galleria dei Saraceni, da attraversare quasi trattenendo il fiato. Non sarà un caso se qui si svolgono alcune rinomate gare di mtb, come l’Assietta Legend, con partenza e arrivo da Sestriere, o la Clavierissima. “Le potenzialità sono enormi - aggiunge Gigi - il luogo è molto bello e ha ancora quel sapore di autenticità ormai non così facile da trovare anche in montagna. Ci sono un’infinità di percorsi meravigliosi – continua lo snowboarder - bisogna farli conoscere e renderli appetibili”.
Prima di salutarci c’è una domanda che mi tormenta: come mai su al rifugio c’era il simbolo del delfino, se siamo in montagna? “Quello è lo stemma del Delfinato – spiega Federico - e si riferisce alla straordinaria storia della Repubblica degli Escartons che si sviluppò in queste valli”.
Si tratta di una delle più belle esperienze di autogoverno alpino della storia, che dal 1343 per circa 400 anni, grazie alla firma della Grande Charte, godette di una singolare situazione fiscale e amministrativa, con suffragio diretto, ampi spazi di autonomia e libertà dal potere centrale impensabili per l’epoca. Contava circa quarantamila abitanti, divisi in una cinquantina di comuni. Il 2 febbraio di ogni anno, giorno della Candelora, i capifamiglia eleggevano il loro console garantendo la democrazia diretta. Pur essendo in alta montagna, quasi tutti gli abitanti erano alfabetizzati e molti addirittura letterati... Una storia pazzesca, insomma, nascosta tra questi luoghi. E credo che lo stemma del delfino che ci ha tanto colpito sia anche il simbolo più bello per riassumere i nostri giri. Su e giù da questi colli di alta quota, sguazzando tra Italia e Francia, per assaporare fino in fondo, grazie a queste montagne intrise di storia e di guerre più o meno lontane, cosa significa davvero essere liberi.

Mangiare (e bere) in valle

La cucina tipica di questa zona di confine non può che essere frutto della commistione tra le tradizioni piemontesi, in particolare delle valli di montagna, e francesi occitane. Un mix di isolamento e autoproduzione da una parte e contaminazioni continue dall’altra. Anche se nel tempo le tradizioni cambiano, non stupitevi se in qualche ristorante nel menù trovate il merluzzo, un prodotto che arrivava a dorso di mulo da Nizza e la cui lavorazione era un tempo diffusa in questa valle grazie a “lä fabriccä dlä marlücchä” (un breve e curioso documentario dell’Istituto Luce racconta proprio “la vendemmia dei merluzzi” negli anni ‘50 a Chiomonte). Se gli stoccafissi sono meno presenti ora, le patate continuano ad essere tra gli ingredienti protagonisti della cucina valsusina. Tra i primi tipici troviamo le Calhettes, gnocchi di patate il cui impasto è fatto con ortica, cipolla e farina di segale. Ci sono poi zuppe e minestre, fatte di fagioli, orzo e funghi oppure rese speciali dalle castagne. I rinomati marroni della Val di Susa, infatti, venivano coltivati già in epoca romana. Per quanto riguarda i secondi, la carne è regina: dal bollito al capocollo, dal pollo ripieno di verdure al prosciutto cotto al fieno. Ma anche alle verdure, almeno nella cucina contadina, è riservato ampio spazio, come per la torta di San Pietro, fatta con patate fave e castagne, o per la Pilot, composta di frittelle di patate grattugiate da accompagnare con speck o lardo. Molto presente anche il fritto misto di verdure pastellate e semolino dolce. L’elenco degli insaccati e dei formaggi tipici è molto vasto. Tra tutti bisogna ricordare il salame Mica, che invece di essere insaccato nel costoso budello e poi legato, viene pressato a mano in stampi e poi ricoperto di farina di segale e pepe; o il salame cotto Supremo di montagna, la cui preparazione prevede la cottura in acqua. Altri formaggi tipici sono le tome, i tomini e le ricotte, da mangiare anche come spuntino accompagnandole con composte e miele locale (qui molto rinomato in diverse varietà), o anche cotti sulla piastra. Il Murianengo è un formaggio vaccino erborinato di pasta burrosa con muffe nobili, prodotto sull’altopiano del Moncenisio e commercializzato in Francia con il nome di Bleu du Mont-Cenis. Il Brus è un derivato del latte simile a un formaggio cremoso e dal gusto forte, che una volta veniva prodotto dalla fermentazione di croste o pezzi di altri formaggi nel distillato delle vinacce. Il cevrin invece è un formaggio di vacca e capra preparato sugli alpeggi del Parco naturale Orsiera Rocciavrè. Fra i dolci, ci sono le paste di meliga e i canestrelli, che esistono bianchi e neri e nelle varianti di Vaie e di San Giorio. Altri dolci famosi sono la focaccia dolce di Susa, di cui si ha una ricetta manoscritta risalente al 1870; il Pan della Marchesa, una morbida torta con nocciole e mandorle, rum e gocce di cioccolato; le Lose Golose, biscotti alla pesca e amaretto che ricordano nella forma, appunto, le lastre di pietra usate come tegole sui tetti di montagna.
Tra i vini, quello più sorprendente è sicuramente il vino del ghiaccio, introdotto nei comuni di Chiomonte e Meana, dove i grappoli vengono lasciati sui tralci fino all’inverno e la vendemmia avviene di notte di prima mattina, rigorosamente a mano, a temperature di molti gradi sotto zero. Gli acini vengono pigiati ancora ghiacciati, ottenendo un mosto particolarissimo, di colore rosato e molto zuccherino. Il vino del ghiaccio è fatto con uve di Avanà, il vitigno più rappresentativo della Val di Susa, citato già in un trattato del 1606. Un altro vitigno autoctono, ma più recente, è il Becuèt, uscito anch’esso dalla nicchia dei vitigni delle montagne della vecchia Savoia. Negli anni sono stati riscoperti altri vini autoctoni, come il Carcherjro, da cui si ottiene un vino particolare, con note fruttate e legnose che ha un gusto intenso e leggermente acidulo, e riporta al sapore del vino di una volta. Avvolta dal mistero, è invece l’origine del Baratuciat, a vitigno a bacca bianca presente in bassa valle almeno da fine ‘800: di color giallo paglierino brillante con riflessi verdi, lascia profumi floreali di ginestra, biancospino e sambuco, salvia, e rosmarino; in bocca è complesso, con un’acidità equilibrata, una leggera sapidità e una nota finale di mandorle. Una viticoltura ricca, nonostante le condizioni ambientali montane, che la rendono certamente eroica e preziosa.

Le nostre guide

La Val di Susa dispone di team di accompagnatori cicloturistici, formati e certificati dalla Regione Piemonte. L’assenza di accurate segnalazioni degli itinerari e la fitta rete sentieristica anche di alta montagna possono rendere difficile o laborioso l’orientamento, con il rischio di capitare su percorsi non adatti alle proprie capacità. Per questo il modo migliore per iniziare a scoprire la valle è insieme a qualcuno che conosca bene il territorio, in grado di trasformare ogni uscita in un’esperienza unica in piena sicurezza. I nostri due accompagnatori, Federico e Gigi, dell’associazione Alpi Cozie Bike Guide (alpicoziebikeguide.com) e tecnici della Federazione Ciclistica Italiana, si sono dimostrati affidabili, preparati e di grande esperienza, oltre che molto simpatici. La loro passione per il ciclismo e la montagna è l’ingrediente perfetto per vivere epiche avventure in sella.

La nostra bici

Robusta e affidabile, perfetta per ogni sentiero. In questo giro che ha la Val Susa come protagonista abbiamo testato la ebike Haibike Alltrail 4 che, pur essendo una entry level nella ricca gamma della casa tedesca, si è dimostrata in grado di fronteggiare ogni terreno: dalle strade forestali ai single trail, dalle discese arrabbiate a qualche facile pista da bikepark. Realizzata in alluminio, è massiccia ma maneggevole, con ammortizzatori di 140 davanti e 150 dietro. Il motore Yamaha PW-ST System da 70Nm, alimentato da una batteria estraibile da 630 WH, che consente di programmare uscite anche lunghe con tranquillità. Il cambio è Shimano Deore a 11 velocità, così come sono Shimano i freni (MT401, 180mm). Quanto a protezioni, il fodero basso e il tubo obliquo sono dotati di un guscio contro gli urti di rocce e sassi. Nonostante alcune componenti siano di livello basico, è una bici che fa quello che deve: è potente e dà la sicurezza che serve in montagna.

Informazioni utili

Come arrivare
Raggiungere Claviere in auto richiede circa 2 ore e mezza da Milano, tramite A4, e 1 ora e 20 da Torino. Si imbocca la tangenziale A55 del capoluogo piemontese e dopo 18 km si prende l’autostrada A32 del Fréjus in direzione Bardonecchia, l’autostrada che collega l’Italia con la Francia attraverso il Tunnel del Fréjus. Si può scegliere anche di avvicinarsi più lentamente, scoprendo la valle da Susa, percorrendola tutta attraverso la Strada Statale del Monginevro SS24, dalla quale all’altezza di Oulx si diparte la SS335 che porta a Bardonecchia.
In treno si può arrivare alla stazione di Bardonecchia oppure a quella di Oulx, e spostarsi poi nei vari comuni grazie al capillare servizio di autobus. Un importante servizio presente durante l’estate è il Bike Bus, che collega con navette gratuite munite di portabici Cesana Torinese, San Sicario, Claviere, Pragelato, Sestriere, Oulx, Sauze di Cesana, Sauze d’Oulx e Bardonecchia.

Ospitalità
Noi abbiamo soggiornato all’Hotel Bles di Claviere, che ci ha fornito un comodo ricovero per le bici, con la possibilità di ricaricare le batterie e preparato ottimi panini da portare con noi per pranzo. Molto particolare è l’agriturismo Barba Gust di Sansicario, una struttura tradizionale piena di fiori che avevamo scoperto durante la precedente esperienza su strada. A Oulx invece c’è l’attività della famiglia di Andrea “Irontibi” Tiberi, già campione di mtb ora allenatore della nazionale italiana. Ha reso l’hotel di famiglia bike friendly e aperto a fianco un’officina diventata in poco tempo punto di riferimento per il territorio. Sono sempre di più le strutture in grado di offrire attenzioni particolari ai ciclisti. Valsusa & ViaLattea Bike Experience non è solo un elenco di alberghi ma è una capillare rete di operatori che si occupano.

Tracce
Puoi scaricare le tracce Gpx dei due percorsi.
Giorno Uno: komoot.com/it-it/tour/1155921041
Giorno Due: komoot.com/it-it/tour/1155916295

Bikepark
I due bikepark principali dell’Alta Val di Susa sono quelli di Bardonecchia e Sauze d’Oulx. La loro apertura varia in base alla presenza della neve, ma tendenzialmente il periodo di attività va da luglio a fine agosto.

Buone letture
Anche se un po’ datato, un libro di riferimento per gli amanti della mtb è “Itinerari imperdibili in mountain bike. Dalla Val di Susa alle Alpi del mare” (Edizioni del Capricorno, 2012), scritto da Diego Drago, cicloalpinista e docente dell’Accademia Nazionale di mtb. Mentre un libro per entrare dolcemente nell’atmosfera culturale della Val di Susa è “La manutenzione dei sensi”, di Franco Faggiani, storia di un uomo e un ragazzo che da Milano si trasferiscono su queste montagne in cerca di se stessi e della propria serenità.

Riferimenti turistici
Tra i siti di riferimento c’è quello dell’Ente del Turismo di Torino e Provincia (turismotorino.org) che fornisce tante informazioni utili e anche una raccolta sempre in arricchimento di itinerari su strada, gravel e mtb. Prezioso da consultare anche visitvaldisusa.it, sito ricco di approfondimenti: dalla cultura alla gastronomia agli eventi in calendario. Per chi ama la natura altre informazioni utili si trovano su parchialpicozie.it

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