di Federico Guido - 09 January 2024

Torstein Træen, un norvegese alla Bahrain-Victorious

Sette anni. È questo il tempo che è stato necessario per vedere un corridore norvegese vestire la maglia della Bahrain-Victorious, formazione World Tour che mai prima di oggi, dal momento del suo sbarco tra i grandi del pedale avvenuto nel 2017, aveva annoverato tra le proprie fila un suddito di Re Harald V. Torstein ci ha raccontato come ci arrivato e quali sono gli obiettivi futuri

Tale onore nel 2024 spetterà a uno dei tre nuovi innesti della squadra del principe Shaikh Nasser bin Hamad Al Khalifa ovvero Torstein Træen, ventottenne di Hønefoss (nella contea di Viken) che la prossima stagione, dopo aver difeso per un settennio i colori della Uno-X, andrà a rinforzare il sempre più qualificato parco scalatori della compagine bahreinita.

È in salita infatti che Torstein, ragazzo i cui lineamenti tradiscono una discendenza orientale (“Mia nonna è giapponese anche se io laggiù non sono mai stato: non vedo l'ora di andarci e spero di riuscirci quest’anno”), dà e ha dato il suo meglio come dimostrano le tre maglie da scalatore in bacheca (Tour of the Alps 2022, International Tour of Rhodes 2020, Oberösterreichrundfahrt 2019) e l’unica vittoria da professionista conquistata quattro anni fa in Polonia, al Tour of Malopolska, imponendosi sull’arrivo in salita di Przehyba. In Bahrain-Victorious però Træen, colpito da come il team “ha lavorato in salita all’ultimo Tour ma anche alla Vuelta e al Giro, corse dove ha ottenuto risultati importanti”, vorrebbe “diventare un corridore un po' più completo”, un progetto da concretizzare step by step, senza fretta, macinando chilometri e affinando l’intesa coi nuovi compagni conosciuti nel primo positivo ritiro invernale.

In ritiro l’atmosfera è stata davvero piacevole: si è sempre nervosi quando si arriva in una squadra completamente nuova, con persone che non si conoscono e tutto il resto, ma tutti sono stati super accoglienti; stare in camera con Pello è stata un'esperienza molto bella. Non vedo veramente l'ora di arrivare in Australia, vedere come sarà correre con loro e come andranno le prime corse”.

Sarà dunque un anno ricco di novità, strade da scoprire, rapporti da consolidare e intese da trovare, quello che vivrà Torstein in Oceania, terra dove per la prima volta attaccherà il numero alla schiena senza esser circondato da coloro che hanno rappresentato la sua seconda famiglia negli scorsi sette anni: In Uno-X conosco tutti, dai membri dello staff ai nomi di quasi tutti i figli dei componenti della squadra. Passando così tanto tempo assieme, vivendo così uniti, vedendoci in corsa ma anche al di fuori, molti corridori sono diventati i miei amici. A fine stagione con tutti si parlava sempre dell’inizio di quella successiva, del primo training camp: sarà strano non essere più parte di tutto ciò, ma con loro ci siamo lasciati molto bene. Gli sono davvero grato per gli anni che abbiamo passato assieme, per tutti i momenti, belli e brutti, che abbiamo vissuto, per tutte le gare, positive e negative, che abbiamo disputato e per il corridore che mi hanno fatto diventare. Loro mi hanno reso quello che sono oggi e senza di loro non so veramente che ciclista sarei”.

Con le certezze e i miglioramenti avuti in giallorosso, il classe 1995 ha “pensato fosse un buon momento della carriera per cambiare qualcosa e fare un'esperienza allontanandosi dalla Uno-X”, ambiente a cui in ogni caso egli continuerà a legare ricordi di momenti importanti, belli e brutti. In merito ai primi, Torstein non ha esitazioni nel citare la partecipazione all’ultimo Tour de France (“Essere al via di quella corsa con molti dei miei amici è stata un'esperienza davvero entusiasmante, nonostante per me non sia stata per nulla felice”) come punto più alto della carriera finora, mentre per quanto concerne i secondi, dopo un attimo di riflessione, Traeen cita il 2022, un anno dove gli è stato diagnosticato (e ha sconfitto) un cancro ai testicoli incamerando però insegnamenti e un’esperienza di grande valore.

Il cancro è qualcosa che ti porta a cambiare un po' la prospettiva con cui dopo guardi la vita. Sono felice di essere stato in grado non solo di superarlo ma anche di vedere come questo va ad incidere successivamente sulla tua persona. [...] Capisci che il ciclismo non è per sempre e provi a visualizzare come possa essere la tua esistenza anche senza di esso. Alla fine, anche se è stato un periodo difficile, posso guardarmi indietro e sorridere perché ne siamo venuti fuori piuttosto bene. La lezione più importante? Proprio questa: apprezzare il ciclismo per quello che è. A volte può essere difficile, quando sei lontano dalla famiglia, dagli amici o sei in viaggio, ma alla fine non è qualcosa di così complicato rispetto a come sarebbe la vita senza poterlo più fare. Quindi ora mi godo ogni giorno, anche se devo viaggiare, stare sotto la pioggia o fare qualsiasi altra cosa”.

Il 2022 quindi è stato un anno che ha segnato indelebilmente la parabola, prima privata e poi ciclistica, di Torstein, un ragazzo che, al pari di molti suoi amici, ha iniziato ad inforcare la bicicletta a “10 anni o giù di lì, quando Thor Hushovd era al suo apice in Norvegia” e che solo rifornendosi al serbatoio della propria determinazione ha potuto di volta in volta migliorare, arrivando a mettere solo il ciclismo al centro dei propri pensieri e della propria vita lavorativa.

Quando ero più giovane praticavo anche biathlon. Ho smesso quando avevo 13 o 14 anni: da allora mi sono sempre dedicato al ciclismo. All’inizio non ero granché, mi ci è voluto un po’ di tempo prima di diventare abbastanza bravo. Ho iniziato a sperare che potesse diventare davvero il mio lavoro quando sono passato alla Uno-X ma prima che passassi professionista non pensavo che avrebbe potuto esserlo. Da quando sono entrato nella formazione Pro Team ho fatto un bel salto e ho iniziato a fare la differenza perché ho iniziato a fare più gare adatte a me. Da allora fino ad arrivare dove sono oggi il viaggio è stato piuttosto lungo ma, guardandomi indietro, posso dire che sia stato anche bello e divertente”.

Di fondamentale ispirazione in questo cammino è stato l’esempio fornito dai modelli seguiti da Torstein per il quale “durante la crescita, è stato abbastanza naturale guardare a tutti i ciclisti professionisti norvegesi” e, in particolare, a gente come “Thor Hushovd, Kurt Asle Arvesen e Gabriel Rasch, che viene dalla mia stessa zona”, quella in cui Træen si è sviluppato sfruttando in allenamento, durante i mesi più favorevoli, le difficoltà altimetriche nei dintorni prima di fare lo stesso a Stavanger e, dalla prossima estate, a Oslo. “Se sei norvegese sai che in inverno sostanzialmente non puoi uscire in quanto fa molto freddo, mentre d’estate puoi cimentarti con le salite e vari tipi di percorsi come quelli che ci sono a Hønefoss. A Stavanger, invece, ci sono tutti i posti e i tracciati dove è solito allenarsi Kristoff ma puoi anche seguire semplicemente i corridori del posto. Puoi mixare le cose ed è molto bello. Io poi quest’estate mi trasferirò a Oslo e tutto cambierà”.

Ai trasferimenti, tuttavia, Træen dovrebbe essere abituato visto che, da corridore professionista qual è, da diverso tempo è chiamato a spostarsi in lungo e in largo per gareggiare e provare a mettere la sua ruota davanti a quella degli altri. Sarà così nel 2024 anche con la Bahrain-Victorious che lo farà debuttare in Australia, lo farà correre negli Emirati Arabi e poi forse, più avanti, lo impiegherà anche in Italia.

L'Italia mi piace. Non vi ho corso molto [...] ma è un Paese davvero bello e spero di poterci gareggiare ancora di più nel 2024” dice Torstein che nel frattempo, a proposito di Bel Paese, ha potuto fare la conoscenza dei corridori e delle persone italiane presenti in squadra: “Non ho mai incontrato persone così orgogliose del proprio Paese come gli italiani, ne vanno davvero fieri. Detto ciò, sono persone con cui è molto divertente parlare e da cui si può imparare parecchio”.

Sarà anche grazie a loro se Træen potrà ambire a far bene e cercare il successo nelle grandi corse a tappe del calendario, appuntamenti di rilievo che il corridore scandinavo di cui parla senza problemi ma sui quali non sbilancia. Se mai dovesse parteciparvi quest’anno, infatti, il suo unico obiettivo, ad oggi, sarebbe quello di “arrivare a disputare un Grande Giro in forma e non come l'anno scorso, quando nonostante la buona condizione sono stato subito tagliato fuori senza riuscire davvero a dare il meglio”. Insomma, per dirlo con le parole di Torstein, “performare ad alto livello quando sarò al massimo della forma” e, così facendo, inseguire una vittoria parziale o, perché no, un’altra maglia di miglior scalatore. Tra le due però già adesso, se dovesse scegliere, la preferenza è chiara.

Senza dubbio una vittoria di tappa ma vedremo come andranno le cose di volta in volta e, soprattutto, che gambe avrò. Penso che correre per provare a vincere le maglie di miglior scalatore porti a sacrificare molte altre buone occasioni per cui è importante vedere, se si è in lotta, cosa fare realmente: a volte se si punta a quell’obiettivo, puoi perdere l’opportunità di cogliere un successo di tappa poiché sei costretto a consumare molte energie in punti in cui altri non ne consumano”.

Una visione lucida e più che comprensibile quella di Torstein che del ciclismo apprezza “l'opportunità di focalizzarmi sulla corsa e concentrarmi davvero su quello che sto andando a fare” e quindi “la fase di preparazione alle gare con i ritiri in altura e tutte le altre cose che servono per arrivarci al meglio”, una dichiarazione questa sintomo di come abnegazione, sudore e fatica siano tra gli ingredienti preferiti da Træen per godersi al meglio la sua avventura a pedali e trovare quella condizione necessaria per far sì che “anche le gare risultino poi molto divertenti”.

La ricetta di Torstein per essere competitivo e apprezzare al contempo ciò che il ciclismo sa regalare parrebbe dunque piuttosto semplice, un aggettivo che ben si sposa con la sua vita lontano dalle corse dove cerca “di essere una persona normale della mia età, di vedere gli amici (con cui a volte, quando sono in viaggio, gioco alla PlayStation) e la mia famiglia, perché il ciclismo porta via molto tempo”. Niente di complicato, di eccessivo o di troppo esibito dunque per l'atleta norvegese che, di base, come lui stesso candidamente ammette, è una persona riservata: “Non parlo molto con le persone nuove e mi apro solo quando riesco a conoscerle più fondo. Nel ciclismo non è bello essere super timidi quando devi parlare con i media, fare interviste e cose del genere, ma ci sono degli stratagemmi a cui poter far ricorso. Di base però quando incontro nuove persone posso risultare piuttosto timido”.

Questo però non gli impedisce di far intuire quanto apprezzi ciò che ha, di aprirsi in un sorriso divertito quando la situazione lo consente o di essere sorprendente come dimostra la sua risposta alla domanda “che cosa avrebbe fatto nella vita se non fosse diventato un ciclista”: “Un mio amico dice sempre che quando smetterò di pedalare potrò diventare un idraulico nella sua azienda quindi forse direi l’idraulico o qualcosa di simile”.

Per fortuna, sua e nostra, c’è ancora tempo prima che Torstein inizi a dedicarsi a condotti e tubi. O meglio, di alcuni ha già iniziato ad occuparsi ma sono quelli saldati tra di loro della sua bici, mezzo sul quale si è guadagnato la possibilità di sbarcare nel World Tour e con il quale, sui palcoscenici più importanti del ciclismo mondiale, proverà ora a mettersi ancor più in luce

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