di DaBike - 25 January 2024

Scaramanzia e ciclismo: quei gesti "propiziatori" che ti fanno sentire più sicuro

Paese che vai, usanza che trovi. Ogni cultura ha il proprio amuleto o gesto scaramantico utile a tenere lontana la mala sorte. Dal cornetto rosso napoletano al maneki-neko giapponese, la superstizione (e quindi anche la ricerca del modo di esorcizzarla) risiede un po' in ognuno di noi... e pure in diversi campioni del ciclismo

Uno specchio rotto, un gatto nero che attraversa la strada oppure la saliera che cade sul pavimento, secondo chi ci crede, possono portare a lunghi periodi di sfortuna a colui che incappa in questa sciagura. Quasi di riflesso, anche per chi si professa “non credente”, un rapido gesto delle corna è di regola. Non solo eventi ma anche numeri possono essere forieri di sventura. Ad esempio i numeri 13 e 17 che per antonomasia hanno connotazioni negative, specialmente se nel calendario cadono nei giorni di martedì e venerdì. E ciò vale anche nel ciclismo. Molti atleti, alla partenza di una gara, si affidano al semplice segno della croce oppure ad indossare braccialetti ricevuti in dono da amici e parenti, per sentirsi in un certo senso accompagnati e protetti durante la competizione. La situazione invece si fa più seria quando una precisa routine è da rispettarsi rigorosamente prima di salire in sella. Via libera ad indossare le scarpe sempre nella stessa successione o, come nel caso del velocista irlandese Sam Bennet (Decathlon AG2R La Mondiale Team), a seguire fedelmente la stessa successione di "portate" (e non può mai terminare senza una porzione di porridge).

Se questi riti possono essere presi in considerazione solamente da alcuni ciclisti, il grande timore portato verso il dorsale numero 13 è riconosciuto da tutto il gruppo. Prima che un evento ciclistico abbia inizio, sia a livello amatoriale sia professionistico, come è noto, viene assegnato dall’organizzazione un dorsale di gara che identifica l’atleta in modo univoco tramite un numero. Al malcapitato che riceve il numero 13 è buona regola fissarlo alla propria maglietta sottosopra. In questo modo si combatterebbe l’energia negativa che continua ad aleggiare sin dal 13 luglio 1967, quando proprio nella tredicesima frazione del Tour de France, morì per arresto cardiaco il ciclista inglese Tom Simpson. Da qui, anche se in misura minore, qualche titubanza nel disputare la tappa numero 13 durante i Grandi Giri.

Una sfortuna che non ha avuto effetti negativi su due grandi campioni come Gino Bartali e Wout Van Aert. L’italiano proprio con il dorsale numero 13, vinse il Tour de France e per di più al suo primo esordio che avvenne nel 1938. Possiamo ipotizzare però che la negatività non fosse ancora “attiva” in quanto la vittoria di Bartali è precedente rispetto alla morte di Simpson. Ma che dire di allora di Van Aert? Lo abbiamo visto domenica disputare la tappa di Coppa del Mondo di ciclocross a Benidorm, in Spagna, ed indossava il nefasto dorsale 13. La gara vedeva schierato alla partenza anche l’eterno rivale Mathieu Van der Poel, dato ovviamente come favorito. Un salto di catena ha provato a rallentare l’impetuoso ritmo di gara dell’olandese, ma invano. La rimonta è stata scandita dalle solite accelerate che lo contraddistinguono fino a che una traiettoria male impostata l’ha portato ad impattare contro un palo che lo ha scaraventato a terra, mandando in fumo l’11esima vittoria che si sarebbe aggiunta alla sensazionale striscia positiva di 10 vittorie consecutive ottenute in 10 presenze. Via libera dunque per Van Aert che, a poche centinaia di metri, subito dopo aver saltato a piedi gli ostacoli, è inciampato, cadendo. Nonostante la gaffe, il belga è montato nuovamente in sella, la quale però si è staccata. La maledizione del numero 13 stava facendo il suo corso, ma la grande condizione di forma dimostrata in questa tappa da Wout, gli ha permesso di tagliare il traguardo comunque al primo posto.

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