Ciclismo depresso?
Ciclismo depresso?
Due suicidi quattro giorni: la scomparsa dello spagnolo Augustin
Sagasti
(ex Euskaltel Euskadi) e del belga Dimitri De Fauw fa tornare a
galla un tema che la nostra rivista aveva approfondito già sul fascicolo
di luglio 2009, denunciando una situazione preoccupante.
C’è un problema “depressione” nel ciclismo, sia tra gli ex corridori,
sia tra gli atleti ancora in attività: il fenomeno, però, resta “sommerso”,
non viene studiato, non viene ammesso, né affrontato dalle istituzioni
sportive: i casi, purtroppo, sono tanti. La maggior parte non emerge, si
va troppo nella sfera “personale” si dice: la depressione tra i ciclisti
viene bisbigliata all’orecchio, perché nella nostra società nessuno ha
il coraggio di affrontare a viso aperto il problema.
Nel ciclismo, in cui un gruppo di onesti si confronta spesso con colleghi
disonesti, non è ben chiaro il motivo di tutti questi depressi:
frustrazione,
sovrallenamento o doping? Un fatto è dimostrato: l’abuso di steroidi
anabolizzanti e di epo può portare alla depressione. Non esiste, però,
uno straccio di ricerca che prenda in esame la situazione che, alla luce
dei fatti emersi e delle confidenze, è piuttosto seria.
«Sono tanti gli ex corridori che soffrono di problemi di droga e depressione:
possono “saltare” da un giorno all’altro – conferma Ivano Fanini,
team manager dell’Amore e vita -. Ci sono campione ed ex corridori che
sono lasciati soli: diventano, così, facile preda di un sacco di porcherie.
Adesso va molto di moda anche il viagra, quasi tutti i ciclisti ne fanno
uso per nascondere altro».
I casi di depressione, purtroppo, vengono a galla soltanto quando degenerano
in tragedia: i recenti suicidi vanno ad aggiungersi a una lunga serie di
vittime di questo male “oscuro”, da Jimenez a Pantani, da Vandenbroucke
a Fois, da Gelfi a l biker Dopouey, ma si contano anche numerosi pistard
e altri tra gregari e capitani. La scorsa estate fu l’americano Tyler
Hamilton, invece, ad ammettere il suo problema dopo che, a febbraio, era
stato trovato positivo al Dhea, un farmaco alla famiglia degli steroidi:
«A causa della depressione», confidò l’americano. Ed era la stessa sostanza
che aveva ammesso di assumere a dosi massicce anche Valentino Fois, scomparso
nel 2008.
Marina Gerin Birsa, dottoressa in psicologia dello sport e docente
all’Università salesiana di Mestre (Ve) è l’unica studiosa in
Italia ad aver svolto una ricerca sulla depressione tra i ciclisti: «Purtroppo
è molto difficile svolgere una ricerca con un valore scientifico significativo
perché è complessa l’individuazione di un gruppo, un campione di corridori
che soffrano di depressione, poiché siamo di fronte a una patologia che
non viene quasi mai resa pubblica».
La ricercatrice ha svolto uno studio su un campione di cento corridori
Elite e Under 23, tesserati per squadre del Triveneto: il 24% degli
intervistati ha dichiarato di soffrire, in varia misura, di disforia. In
psichiatria è un termine che indica un’alterazione dell’umore in senso
depressivo, accompagnato da agitazione e irritabilità». Non è stato possibile
individuare le cause, però, anche se è scientificamente dimostrato che
taluni farmaci favoriscano stati depressivi chimici: non sempre si tratta
di farmaci dopanti.
Anche gli ex corridori sono soggetti a rischio: «Negli ex atleti c’è un
cambio di ruolo molto forte e molti faticano a inserirsi nella realtà
quotidiana.
Lo sport praticato a livelli intensi fa invecchiare precocemente, con tutte
le problematiche del caso».
Omar Beltran, noto esperto di menthal training, sottolinea i rischi
da sovrallenamento: «Negli sport di resistenza, quelli più impegnativi,
è più un problema l’over training che il poco allenamento. Un atleta in
piena attività, nel ciclismo, ha un fisico abituato a vivere grosse fatiche,
con immensi carichi di endorfine, che in un certo senso hanno le stesse
molecole di un oppiaceo, ma vengono prodotte dall’organismo. Quando un
ciclista si ferma, smette di colpo di fare attività, prova, per questo,
quasi una crisi di astinenza, con possibili alterazioni umorali».
Pochi atleti ne parlano apertamente: di conseguenza si fatica a tracciare
il contorno del problema. Sul ciclismo e i suoi depressi regna ancora troppa
ipocrisia.