di Jacopo Altobelli - 08 December 2021

Una nuova sede per Santini, che si allarga scegliendo di rimanere a produrre in Italia

E' stata presentata la nuova sede della storica azienda italiana di abbigliamento ciclistico Santini Cycling Wear. La nuova struttura sarà pronta tra pochi giorni e dovrà assicurare l'aumento di produzione previsto dal piano industriale. Un grande progetto che guarda al futuro, per il quale l'azienda sceglie di rimanere nella sua Bergamo.

Guardare al futuro partendo dalle proprie radici. La storica azienda italiana di abbigliamento tecnico Santini trasloca in una nuova sede grande il triplo. Lo fa per poter raccogliere le sfide di uno scenario internazionale, con un previsto aumento di produzione e posti di lavoro. E lo fa non solo restando in Italia, ma anche in quella città che ha visto nascere, oltre trent'anni fa, quel maglificio diventato poi fiore all'occhiello del Made in Italy: Bergamo. E' qui che troverà sede il nuovo quartier generale della Santini Cycling Wear, in via Zanica 14, in un edificio che unisce sostenibilità e design e che sarà pronto tra pochi giorni. Il trasloco dall'attuale struttura, che si trova nel comune di Lallio, a meno di dieci minuti dal nuovo indirizzo, avverrà infatti già a gennaio per quanto riguarda la produzione, mentre gli uffici si trasferiranno entro la prossima estate. La presentazione di questo grande progetto corona un anno straordinario per il brand bergamasco, segnato dall'importante traguardo del contratto con il Tour de France per la fornitura delle maglie ufficiali nelle prossime cinque stagioni, e una chiusura di bilancio che si prevede con un fatturato di 31 milioni di euro. Oltre alla conquista della celebre competizione francese, novità di quest'anno, Santini può vantare un rapporto storico anche con UCI, la federazione mondiale di ciclismo, e 25 edizioni di Maglia Rosa, oltre all'accordo esclusivo con IRONMAN, il più importante e prestigioso circuito di triathlon, e alla sponsorizzazione del Team Trek Segafredo.

Un'architettura ispirata dal ciclismo

Una lunga storia italiana

L'azienda che oggi ha un così potente sguardo internazionale e rappresenta uno dei brand di riferimento nel mondo dell'abbigliamento da ciclismo, nasce nel 1965 col nome di Santini Maglificio Sportivo. L'intuizione del suo fondatore, Pietro Santini - papà di Monica e Paola che oggi guidano l'azienda - è quella di specializzarsi nell'abbigliamento tecnico da ciclismo. E di innovare senza sosta: negli anni '70 sono all'avanguardia nell'introdurre l'uso della Lycra per i calzoncini, fino a quel momento realizzati in lana, cui seguono le fibre sintetiche antibatteriche per i fondelli. Da qui in poi la ricerca e lo sviluppo sono costanti: dai tessuti in fibra di carbonio alle nanotecnologie antivento e antipioggia, dal gel alla schiuma, alle fibre anti-abrasione, per una costante ricerca del connubio tra performance, comodità, durata ed estetica. La scelta fondamentale fatta fin dall'inizio e mai rinnegata è di produrre tutti i capi esclusivamente in Italia: un'ostinazione che se vent'anni fa sembrava anacronistica, ora è forse la chiave del successo e dell'affidabilità. In poco più di dieci anni, Santini è passata da 60 a oltre 140 dipendenti e produce più di 5mila articoli al giorno, esportando all'estero l'80% della sua produzione.

Sponsorizzazioni e ambassador

La produzione di mascherine

Durante la fase diniziale dell'epidemia di Covid-19, l'area bergamasca è stata tra le zone più colpite d'Italia. In quei momenti terribili di cui tutti conservano le immagini nella memoria, Santini cercò di dare il suo contributo per far fronte alla nuova emergenza e sopprerire alla mancanza di mascherine. Convertì infatti la produzione realizzando dei veri e propri prototipi, tra i quali ad esempio uno realizzato proprio con tessuti utilizzati abitualmente per i body da triathlon. Dopo i vari test, oltre alle mascherine lavabili, è stata prodotta la mascherina chirurgica monouso SP MASK T1 tipo II, approvata dall'Istituto Superiore di Sanità ed è utilizzabile anche nei reparti ospedalieri. Il progetto è stato realizzato "a chilometro zero", sfruttando per i materiali altre cinque aziende della provincia bergamasca sotto il coordinamento della Confindustria Bergamo. Pur in un momento difficile, l'azienda ha saputo così essere un esempio di quello spirito tutto bergamasco del "mola mia", ovvero dell'imperativo di "non mollare". Mai.

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