di Alberto Zampetti - 02 June 2022

L’alfabeto del Giro d'Italia: dalla A alla Z per rivivere la Corsa Rosa

Ventun lettere per raccontare protagonisti e Maglie delle ventun tappe della Corsa Rosa vinta da Hindley. Perché le storie scritte sulla strada vanno sempre oltre le classifiche

A, Arrivederci

Partiamo dalla fine. Perché il Giro è bastardo: appena terminato, già ti manca. E la cerimonia conclusiva di Verona, per quanto gioiosa e colorata, aveva quel velo di nostalgia tipico di quando si chiude il sipario. Tu vorresti un bis, un ultimo scatto, una pedalata finale. Ma la carovana si scioglie, liberi tutti e arrivederci al 2023. Si vocifera che si partirà da Pescara...

B, Bouwman Koen

Due successi di tappa (Potenza e Castelmonte) e la Maglia Azzurra finale: bottino ricco quello dell’olandese Koen Bouwman, sette anni di totale e indiscussa fedeltà al team Jumbo Visma, senza mai un acuto per via di un preziosissimo e colossale lavoro di gregariato. E così sarebbe stato anche al Giro 2022, se Capitan Dumoulin non si fosse perso per strada. Il buon Koen salva la trasferta dello squadrone olandese, ma non si monta la testa: «Essere premiato nell’Arena di Verona per me significa molto», ha raccontato. «È un grande risultato. Aver vinto due tappe è un qualcosa di enorme. Ma non cambierà il mio ruolo nella squadra: sarò ancora un gregario». Giusto per la cronaca, la Maglia Azzurra, quella che premia il miglior scalatore, gli ha fruttato 750 euro ogni giorno che l’ha indossata e un premio finale di 5.000 euro. Cifre da dividere, ovviamente, con compagni di squadra e staff, come consuetudine nel ciclismo pro.

C, Carapaz Richard

Per alcuni un secondo posto è la gloria; per altri, un macigno che ti porterai addosso sempre. Per uno strano gioco del destino, a volte un piazzamento ti (s)consacra più di una vittoria. Ricordate, ad esempio, il povero Fignon trafitto da otto miseri secondi sui Campi Elisi? Chissà se Richard Carapaz pensava al compianto Laurent, mentre tagliava il traguardo della Marmolada? Probabilmente no: non era ancora nato nel 1989, quando LeMond infilzò il francese soffiandogli il Tour sotto il naso. Ma sotto l’arrivo del Fedaia, Carapaz era certamente conscio di aver perso il Giro. Forse non si aspettava che le gambe gli cedessero così, all’improvviso. Magari aveva ipotizzato di poter perdere qualcosa, ma non un tracollo così marcato. È la legge spietata del ciclismo: se salti, naufraghi. Avrà modo di rifarsi. Resta comunque un corridore di classe. E resterà sempre “quello della Marmolada”.

D, Démare Arnaud

Il re dei velocisti è il francese Arnaud Démare. Vince la quinta tappa, a Messina, infila la Maglia Ciclamino e non la toglie più fino a Verona, rafforzandola con le vittorie di Scalea (sesta tappa) e di Cuneo (tredicesima). Grande esempio di dedizione alla squadra (undici stagioni da pro, sempre in casacca FDJ), porta in dote al suo team 750 euro per ogni giornata in testa alla Classifica a Punti e un premio finale di 10.000 euro. Chapeau!

E, Eritrea

F, Fuga

Se il buongiorno si vede dal mattino, già alla prima tappa si è capito tutto. Pronti, via: nemmeno cento metri e parte la prima fuga (Mattia Bais e Filippo Tagliani). Di fughe ne abbiamo viste tante, in questo Giro. Scriteriate o calibrate, strategiche o folli, incomprensibili o per visibilità, crudeli o vincenti. O la va o la spacca. Il ciclismo delle incognite. Altro che “il gruppo lascia fare”. Intanto devi fare. E fare bene, perché poi magari ti riprendono a duecento metri dal traguardo.

G, Gregari

Nel ciclismo al carbonio, quello dei watt e dell’FTP, dei lap e dei kom, non si parla più dei gregari. Che però restano la spina dorsale di questo sport, gente costretta nel girone dei dannati al servizio del capitano. Intendiamoci, sono le regole del gioco. Ma nel gruppone, nove corridori su dieci sono sconosciuti al grande pubblico, e molti anche agli appassionati. Abbiamo celebrato, giustamente, Girmay: chi erano gli altri corridori eritrei al via? In che squadra corre Sylvain Moniquet? Come si è classificato William Barta? Di che nazionalità è Reto Hollenstein? Qual è il terreno preferito di Alexander Cataford? Tutti militi ignoti che hanno reso bello il Giro 2022. Grazie ragazzi, ci siamo divertiti.

H, Hindley Jai

"Jai Hindley (Bora-Hansgrohe) ha vinto il 105° Giro d’Italia, indossando la Maglia Rosa di leader della Classifica generale e alzando il Trofeo Senza Fine nell’Arena di Verona”: il comunicato ufficiale dell’Organizzazione cancella quell’amaro in bocca che era rimasto all’australiano al Giro 2020, quando perse la corsa all’ultima tappa, la crono di Milano, nella quale partirono - caso più unico che raro - in due con lo stesso tempo. «Che sensazione incredibile, quasi non riesco a crederci: sono il primo corridore australiano a vincere il Giro d’Italia. Sono veramente emozionato e orgoglioso», ha ammesso la Maglia Rosa sul palco della premiazione. «Ricordo ancora cosa era successo nel 2020: avevo affrontato l’ultima crono in Maglia Rosa per poi essere battuto nell’ultima tappa. Questa mattina ero determinato a non lasciare che accadesse di nuovo. Mi sentivo bene sulla bici e adesso voglio godermi questo successo». Il ciclismo è come la vita: una ruota che gira. E quella di Jai ha girato, eccome, soprattutto quando ha schiantato Carapaz nei tre chilometri finali della Marmolada. La Maglia Rosa assegna un premio di giornata di 2.000 euro e un assegno finale di 115.668 euro. La Bora ringrazia e si ripaga la trasferta.

I, Impresa

E vendetta fu: là dove nel 2019 perse il Giro Baby, Alessandro Covi trova la giornata della vita e sulla Marmolada firma una impresa da annali del ciclismo. In fuga da lontano, il varesino saluta la compagnia sul Pordoi, fa sua la Cima Coppi e si invola verso l’ignoto, fin dove ce la farà. «Ho attaccato sul Pordoi e ho cercato di spingere a tutta in discesa e arrivare all’inizio del Fedaia con almeno un paio di minuti di vantaggio. Perché non sono uno scalatore». Poi, quell’ultima rampa da togliere il fiato: a lui, vinto dalla fatica, e a noi che temevamo il rientro all’ultimo di Domen Novak, in pericoloso avvicinamento, con il rischio di mandare in frantumi l’impresa. «Mentre salivo verso il traguardo avevo un dolore incredibile alle gambe, cercavo di mantenere il mio ritmo senza accelerare troppo perché ero vicino ai crampi». Ma la salita è una brutta bestia per tutti: Novak alza bandiera bianca e Alessandro si presenta tutto solo sulla fettuccia, per la sua prima vittoria al Giro. Il concomitante ribaltone in classifica generale di Hindley ai danni di Carapaz ruba, per dovere di cronaca, spazio all’impresa di Covi. Che resta comunque una pagina meravigliosa di sport.

L, Lopez Perez Juan Pedro

La Maglia Bianca non è un premio: è un augurio. O un pronostico. La classifica dei giovani è riservata ai corridori nati dopo l’1 gennaio 1997 e dovrebbe significare: “Sentiremo ancora parlare di te”. Per il momento si parla di Juan Pedro Lopez Perez, vincitore della Classifica 2022, al termine di una corsa di prim’ordine in cui è stato pure in vetta alla Generale per dieci giorni. Settecentocinquanta euro a che veste la Bianca di giornata, diecimila a chi si porta a casa quella definitiva. «Oggi mi rendo conto di quanto sia bello essere premiato durante la cerimonia del Giro», ha riconosciuto Lopez sul palco di Verona. «Ho anche avuto il piacere di indossare la Maglia Rosa per dieci giorni ed è stato semplicemente stupendo. Non so quale sarà il mio futuro ma questo Giro mi dà tanto morale e motivazione per la mia carriera». Sentiremo ancora parlare di te, Juan Pedro.

M, Marmolada

Geograficamente si chiama “Passo Fedaia”. Ma per chi parla a pedali è “la Marmolada”. E basta. E la Marmolada, per i ciclisti, è il drittone di Malga Ciapela. E basta, di nuovo e per sempre, perché su quel drittone ci lasci le ruote. Cazzo, mettici dentro un paio di tornanti in più... Invece, no. Gli amatori lo sanno: te lo ricordi per tutta la vita, tanto è in piedi quel muro infinito. D’ora in poi, se lo ricorderanno anche Jai Hindley, che sul drittone ha vinto il Giro; Richard Carapaz, che su quelle pendenze ha visto rotolar via il suo sogno rosa; e Alessandro Covi, che lassù ha conquistato la sua prima vittoria di tappa. Piano, però, a concludere che il Giro si sia deciso su quei tre micidiali chilometri e che tutto il pregresso sia stato contorno di poco conto, solo perché stentava a decollare lo spettacolo. Nella miglior tradizione italica, siamo tutti campioni di strategia trallallà. Mettessimo il culo in sella, capiremmo immediatamente che quel contorno di poco conto, quei tremilaquattrocento chilometri e rotti percorsi, quei cinquantamila metri di dislivello superati, si sono dannatamente concentrati all’improvviso e tutti insieme su quel muro verticale. È il drittone. Non ci sono tornanti in più. Non ci sono storie. È la Marmolada. E basta.

N, Nibali Vincenzo

Vincenzo Nibali ha vinto il Giro d’Italia. Non quello della classifica finale, ma quello dei campioni senza tempo. Ha 37 anni e un palmares che trabocca di successi pesanti, tra Classiche Monumento, Grandi Giri (sì, li ha vinti tutti e tre) e corse di vario genere: che gli importa di mettersi in gioco contro il nuovo che avanza, ragazzini terribili che hanno quindici anni di meno? Quindici anni nell’era del ciclismo iperspecializzato sono un’eternità, significano pistoni tirati a tuono contro un motore che ha già affrontato mille battaglie. C’è il rischio di far figure. Vincenzo lo sa, ma non se ne preoccupa. Si presenta al via della Corsa Rosa con l’umiltà di «cercar solo di fare bene». Sceglie il traguardo di Messina, la sua città, i suoi tifosi, per annunciare con parole tranquille che a fine stagione chiuderà la carriera. È uomo di parola: “a fine stagione”, non durante il Giro con una corsa fatta per onor di firma, tranquillamente rintanato nella pancia anonima del gruppo. Al contrario, è sempre lì: cerca disperatamente una tappa, per lasciare la Corsa Rosa con un sigillo. Ottavo sul Blockhaus, quarto a Torino. Un leone mai domo, prima che squalo. Alla fine, chiude quarto nella Generale, primo degli italiani. A trentasette anni. Una medaglia di legno che vale più di un trofeo d’oro. Le nuove generazioni di ciclisti guardino e imparino. Anzi, impariamo tutti quanti.

O, Occhiali

Chissà, magari quegli occhiali gettati al pubblico a pochi metri dal traguardo diventeranno davvero la firma di Giulio Ciccone a sugellare ogni sua vittoria. Sul traguardo di Cogne l’abruzzese insieme agli occhiali ha gettato alle spalle un periodo difficile, conquistando la terza affermazione al Giro e tornando al successo dopo oltre due anni (Laigueglia 2020). «Questa è la mia vittoria più bella: mi lascia una sensazione migliore sia rispetto alla Maglia Gialla vestita al Tour de France sia rispetto ai primi successi ottenuti al Giro negli anni scorsi, perché arriva dopo due stagioni difficili tra cadute, problemi fisici e Covid. Oggi mi sentivo forte, ho deciso di attaccare da solo a 19 km dall’arrivo perché era la parte più dura della salita e non ero sicuro di poter staccare gli altri successivamente». Attacco coraggioso, vittoria solitaria, tappa da incorniciare. E occhiali da regalare.

P, Pozzovivo Domenico

Poche parole e tanta sostanza: Domenico Pozzovivo, diciassette stagioni di militanza, qualche successo di rilievo e una vagonata di incidenti che avrebbero stroncato la resilienza di chiunque. Ma non del “Pozzo”, sempre in piedi. Anzi, sempre chino sul manubrio. Poche parole e tanta strada. A 39 anni termina il Giro in ottava posizione e non succedeva dal 1924 che un atleta di almeno quell’età blindasse una Top Ten alla Corsa Rosa (allora fu Giovanni Rossignoli, ottavo pure lui, ma a 41 anni). Un esempio di serietà professionale per tutti, indipendentemente dalla loro professione.

Q, Quota

“Quota”, una parola che si è usata spesso nello sviluppo del Giro. A parte la tappa di Reggio Emilia, ogni frazione prevedeva almeno un GPM, magari di quarta categoria, ma comunque sempre salita. Ogni giorno si è andati in quota, non importa che si arrivasse ai 284 metri di Recanati o ai 2.239 del Pordoi, Cima Coppi. Su e giù, senza sosta. L’Italia come un gigantesco ottovolante.

R, Rosa

S, Social

I ciclisti corrono su strada ma il ciclismo corre sul web. E il Giro 2022 non fa eccezione: 210 milioni le pagine viste tra sito e app, con dieci milioni di utenti unici. Tutte le properties del Giro d’Italia hanno totalizzato 180 milioni di visualizzazioni e le impression totali superano gli 800 milioni. Particolarmente vivaci gli account Social, che hanno creato un forte legame con la community (4.2 milioni). E questo solo per i canali ufficiali della Corsa Rosa. Poi ci sono quelli personali dei corridori e quelli istituzionali delle squadre e degli sponsor. Oggi funziona così, è roba da gente smart: tutto live, tutto condiviso. Tranne la fatica, che è roba da ciclisti.

T, Tifosi

Tanti. Tantissimi. Ovunque. Sempre. E smettiamola con ’sta storia che finalmente torniamo alla normalità, che ci si può riversare di nuovo sulle strade dopo due anni di pandemia. Vale per altri eventi, non per il ciclismo. Passa il Giro e ci si mette in prima fila perché è una festa e uno spettacolo. Non per reazione alle restrizioni. Non avessimo avuto il Covid (magari!), sarebbe stato un pienone ugualmente. Persone in attesa per ore, appassionati che si sono sciroppati a piedi salite da camosci solo per “essere là”, muri di folla da fendere e aprire come se i ciclisti fossero novelli Mosè. Passa il Giro e lo puoi vedere da vicino. Lo respiri. Lo vivi. Ogni luogo è un arrivo, ogni arrivo è una nuova partenza. Ed è tutto gratis.

U, Ungheria

Si parte da Budapest, Ungheria, onorando un impegno preso due anni fa e non mantenuto per via del Covid. Presentazioni, foto di rito e poi il sipario si apre con una prova in linea al posto del più consueto cronoprologo. Non è un Paese di grande tradizione ciclistica e forse proprio per questo l’abbraccio magiaro alla Corsa Rosa è sconfinato e commovente. Un calore che, sulle nostre strade, sarebbe comprensibile. Ma lì? E per un evento che non è nemmeno loro? A pochi giorni, per di più, dalla partenza del Giro dell’Ungheria? Un’ulteriore testimonianza dell’awareness del Giro d’Italia.

V, Van der Poel Mathieu

«Arriverò a Verona», aveva promesso alla vigilia King Mathieu. E tutti ad ammiccare un “Sì, sì. Bravo” poco convinto, tanto per (fingere di) stare al gioco. “È uomo da classiche, non da classifica”, si diceva. “Troppo duro il Giro, per lui. E poi, quell’ultima settimana...”. Mentre i Soloni chiacchieravano, l’olandese è piombato sul Giro come un rapace (prima tappa: vittoria e tutte le Maglie, a parte quella Bianca per ragioni anagrafiche) e poi ha animato più volte fughe e attacchi spettacolari. Quasi ogni giorno, davanti. Quasi ogni tappa, un allungo. Ha raccolto poco, ma ha seminato tantissimo. A Verona ci è arrivato (57°), alla faccia di quell’ultima settimana. Premio Combattività strameritato.

Z, Zone

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