27 May 2012

La resa di Basso, fine di un'epoca

La cima Coppi esalta l'impresa di un belga che stupisce tutti, mentre Hesjedal prepara l'ultimo assalto alla maglia rosa. E intanto gli italiani si arrendono. Si salva solo Cunego

La resa di basso, fine di un'epoca

Nel Giro senza fenomeni, lo Stelvio ha il suo fascino di sempre. A 2.700 metri di quota, il mondo laggiù sembra così piccolo: è per questo che, il ciclismo vissuto in cima a queste montagne convince chiunque, anche il meno appassionato, che questo sport sia qualcosa di grande. Veramente grande. Lo Stelvio evoca imprese, anzi le esige: e se nella storia di questo sport rimane indelebile la sagoma magra e fin quasi elegante di Fausto Coppi, tra due muri di neve, nel Giro senza fenomeni, l’impresa la fa un certo Thomas De Gendt.

In un sabato insospettabile, questo passista scalatore quasi sconosciuto (ma non troppo, perché vanta ottime prestazioni alla Parigi-Nizza) ha fatto riaccendere migliaia di televisori in Belgio, per un Giro d’Italia che non vede un fiammingo dare spettacolo in montagna al Giro, ormai da tempo immemore. Thomas De Gendt da buon corridore alla Parigi-Nizza a dominatore dello Stelvio: il salto in avanti è veramente notevole. Impressionante, fino allo scetticisimo: ci perdoni, De Gendt, ma la colpa è di un ciclismo che si è rovinato con i miracoli fasulli. De Gendt ha fatto il Coppi per un giorno: in comune con il Campionissimo ha soltanto il marchio sulla bici, Bianchi. Stessa bici sulla quale vinsero anche Gimondi e Pantani. Questo Giro e questo Stelvio non somigliano nemmeno a quelli di Bertoglio e Fuente, senza scomodare Coppi: indecifrabile, segno dei tempi, emblema di un Giro, davvero senza padroni. E senza più re: l’unico vero re è giù dal trono e piange. La sconfitta è crudele, soprattutto quando è il ritratto della resa. Resa incondizionata e inesorabile, quella di Ivan Basso: il suo pianto nel dopocorsa, alla fine dell’ennesima giornata difficile è lo sfogo inevitabile di fronte a una presa di coscienza per una sconfitta che conferma il declino di un atleta rinato dai suoi errori.

L’immagine simbolo di questo Giro, l’unica indiscutibile notizia che emerge da tre settimane di colpi di pedale è proprio questa: Ivan Basso ha iniziato la sua parabola discendente. Fatto che è nella natura di ogni atleta e di ogni carriera.

L’altro sconfitto è Scarponi che lotta come un leone, prova a scattare e poi finisce in affanno per tenere i ritmo dell’ennesimo scattino velenoso di Joaquin Rodriguez, la maglia rosa che si prepara alla sfida quasi impossibile di Milano. Lo spagnolo sa fare bene soprattutto quel gesto tecnico: lo scatto all’ultimo chilometro, in salita. In questo Giro, non si è visto praticamente nessuno in grado di dare seguito e costanza ai propri scatti: fa eccezione Thomas De Gendt emerso a sorpresa dal limbo dei “quasi campioni” con la sua impresa sul Mortirolo e, ancora più grande, sullo Stelvio. I miracoli, nel ciclismo, non esistono e chiunque abbia cercato di dimostrare il contrario è poi stato sbugiardato dai fatti (e dall’antidoping). La grande, indimenticabile, giornata di Thomas De Gendt merita, tuttavia, il massimo rispetto: e che sia l’inizio di una sfolgorante carriera, costruita un po’ in sordina, ma ora davvero promettente. Non ce ne voglia il bravo De Gendt che ha costruito davvero qualcosa di grande, con quella cavalcata sullo Stelvio sotto un cielo così vicino e terso dal far risaltare, con meraviglia, anche il volo maestoso di un’aquila reale. De Gendt e l’aquila, Basso e le lacrime, Scarponi e la rabbia, Rodriguez e quella maglia rosa ancora sua.

E tutto il resto è nel segno di Ryder Hesjedal che, mangiando lentamente patate lesse dopo il traguardo, già percorre mentalmente le strade di Milano, in quella che sarà la sua cronometro della vita. Domani.

 

Lorenzo Franzetti, dal passo dello Stelvio

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