Per Elena quindi quella distinzione tra classiche di Serie A e Serie B decade. Tutte le gare di un giorno al Nord hanno un loro perché e meritano di essere disputate e conquistate. Ogni corsa vale un’abbondante fetta di prestigio, personale e di squadra, e ogni corsa è in grado, per un motivo e per l’altro, di esaltarti e far esaltare, di farti percepire un entusiasmo contagioso e strabordante che ripaga di tutta la fatica fatta, del sudore versato, della fatica provata. Già, perché alla festa e all’atmosfera coinvolgente e gioiosa che contraddistingue questo contesto di gara fanno da contraltare i traumi, le cadute, le ferite provocate tanto dalla durezza del percorso e delle condizioni atmosferiche quanto dalla spigolosità delle pietre e dunque, dopo il traguardo, non bisogna sorprendersi nel vedere sorrisi, esaltazione e soddisfazione mischiarsi a smorfie, imprecazioni e disappunto. Anche alla Nokere è così. Lo testimoniano Matteo Moschetti, che si rammarica per come è andato il finale e per essere caduto ma evidenzia “quanta gente ci sia oggi che è mercoledì, qui c’è passione, vero ciclismo”; Gibbe Staes, belga classe 2005 dell’UAE Team Emirates Gen Z: “è pazzesco essere qui a correre, in Belgio, nel mio paese, proprio una bella esperienza; il pavé mi piace ma la battaglia per approcciarlo è folle”; Erlend Blikra, sprinter norvegese della Uno-X Mobility, alla prima Nokere della carriera; ma anche Stina Kagevi, atleta svedese del Team Coop-Respol,, la più giovane debuttante al via della corsa femminile con i suoi 18 anni e 198 giorni. La ragazza dopo averci indicato le mani grondanti sangue per colpa di ben due capitomboli, con fare a metà tra l’emozionato e lo shockato ci dice che seppur “sia stata una giornata davvero dura, è stato molto bello correre qui, con tanti grandi nomi al via: rispetto a loro sono una ragazzina” e promette di tornare in Belgio per la Gent dopo qualche giorno di scuola. Bilkra invece, mentre divora famelico diverse manciate di caramelle, con grande onestà confida che “è sempre dura correre in Belgio” ed è normale avere con corse del genere “un rapporto di amore e odio” perché “ci sono istanti in cui arrivi ad odiare la bici, vorresti smettere di pedalare ma qualche volta vivi anche bei momenti: hai sensazioni contrastanti in queste corse, è un su e giù, come le montagne russe. Quindi soffri ma alla fine apprezzi la sofferenza perché questo è il ciclismo, funziona così”. Per dirla col titolo di una canzone (ambito che a Erlend, componente della band norvegese Broomwagon Passengers, sta particolarmente a cuore), “Hell will have to wait” perché, specifica sorridendo il ventisettenne di Stavanger, “ci sono vicino ma non è ancora giunto il momento in cui andrò all’inferno. Non oggi almeno: vivrò un altro giorno”.
Erlend però, come altri uomini e altre donne prima e dopo di lui, un assaggio di come possa essere l’inferno alla Nokere l’ha avuto, a giudicare dalle macchie di fango più o meno grosse sulla pelle, dalle ombre di polvere sul volto, dalle mani arrossate e, in altri casi rispetto al suo, dai completi lacerati in più punti, segno questo di incontri ravvicinati e non molto piacevoli con l’asfalto. Nonostante ciò, chiedendo a lui e ad altri della Koerse appena conclusa, nessuno ha nascosto la propria soddisfazione per avervi preso parte, aver stretto i denti e dato tutto per arrivare fino in fondo, sperimentando di persona quanto questa, e più in generale le gare in Belgio, possa allo stesso tempo dare e togliere moltissimo. Sicuramente con meno patimenti, anche chi si è mosso per e attorno alla corsa ha avuto modo di apprezzare e capire perché a quella latitudine, alla fine, ci si trovi bene e perché l’esperienza sia di quelle che ti restano dentro. La scenografia, l’incanto del paese scosso da una positiva frenesia, la semplicità dei gesti e delle parole, l’accoglienza delle persone (che sembrano sempre lasciarti uno spazio perché anche tu possa godere ed essere testimone delle gesta dei corridori) e, non per ultimo, quel drappo di pietre che si dipana in mezzo alle case, magnetico e affascinante, sono come corvi romani che consentono alla Nokere di uncinarsi stabilmente alla nave dei ricordi di chiunque. Mancherà, come ci dice simpaticamente Rafa (fotografo di ciclismo da 37 anni), “il cibo spagnolo o italiano”, ma in un contesto del genere è qualcosa che possiamo mettere in conto.