15 October 2015

Un Radar a Roma

Una spedizione di sei ciclisti alla Granfondo Campagnolo Roma per pedalare nella storia millenaria e testare l’ultimo ritrovato tecnologico per la sicurezza dei ciclisti. Ognuno con la propria storia, tra fatiche, panorami mozzafiato e la voglia di condividere qualcosa

Un radar a roma

Paolo è lì bello tonico, esteticamente perfetto con i bracciali verde fluo come i calzini. Antonio è in estasi, calato nella Roma antica quando ancora il sole deve sorgere. C’è Matteo che smanetta sul manubrio dove giace uno dei suoi computerini, una delle sue creature. Walter è silenzioso e pensa, ma ha gli angoli della bocca che accennano a un sorriso. Riccardo allunga la mano davanti, sulle ruote in carbonio a profilo alto, altissimo e forse è un po’ preoccupato per i sampietrini della città eterna. E poi ci sono io che li guardo tutti insieme, e ordino un selfie come fosse un caffè al bar, perché questo è un momento magico di una giornata che trascorreremo insieme: la Granfondo Campagnolo Roma.

Un po’ di casino con le griglie, ammettiamolo, ma dopotutto lo stress ce l’hai nella misura in cui tu lo vuoi, quindi procediamo tra un “scusa, mi fai passare” e un “è qui il nostro posto?” e ci schieriamo, è il caso di dirlo, pronti per la pedalata.

Sei uomini, e sei storie diverse, ma oggi condividiamo una passione comune: star seduti in bicicletta per godere e soffrire, per ridere e lacrimare, per mettere un bollino rosso a una domenica da capitale. Ma c’è un’altra cosa che ci accomuna: sotto la nostra sella c’è un Varia Radar, l’ultimo nato in casa Garmin, che ci informa del sopraggiungere delle auto alle nostre spalle. In altre parole, un compagno di allenamento che avvisa gli automobilisti della tua presenza, e al contempo ti dice “Ocio che stanno arrivando due macchine dietro di te…” soprattutto quando nelle pedalate solitarie tra stradine di campagna l’attenzione è bassa perché assortiti nei nostri pensieri.

Inoltre, un Radar che si illumina è comodo nel mantenere il contatto a vista, soprattutto quando ci si trova in 5.000 come qui alla Granfondo Campagnolo nella Roma Capitale: l’avvio tra le strade del centro, mentre la città dorme e tu sei padrone dei Fori Imperiali, non ha prezzo. E poi non ha prezzo l’idea di una classifica non sull’intero percorso di 120 chilometri, ma con la somma dei tempi cronometrati sulle quattro salite di Lago di Albano, Rocca di Papa, Rocca Priora e quella di Rostrum: salite impegnative, ma fattibili, con qualche muro del pianto che una volta superato ti fa odiare o amare la scelta di uno sport come quello del pedale.

Di per sé non è un evento che ti fa divertire più di un altro, certo l’organizzazione, il panorama, i servizi e tutto il contorno hanno un valore, ma ciò che fa la differenza è come lo interpreti, è l’approccio che si ha verso le cose. Sia chiaro, non disdegniamo la competizione ma la “libertà” di poter scegliere l’interpretazione della gara, trasforma una domenica come tante, in qualcosa di magico. E la nostra scelta di correre la Granfondo aspettandoci in cima alle salite, è ciò che noi chiamiamo “condivisione”, forse l’essenza stessa dello sport. Ognuno con la propria storia.

La gara, per esempio, oggi ci ha portato al Lago di Albano, uno specchio d’acqua delizioso, come fosse una enorme goccia d’acqua caduta in un catino verde di un verde autunnale che vira al castano. A Rocca di Papa le gambe hanno chiesto una sosta, pronte per una trenata nella pianura (grazie Riccardo per quel quarto d’ora da urlo) che ci ha portato ai piedi di Rocca Priora, con quel muro in pavé che avrebbe potuto fare danni in caso di pioggia. Invece no, tutto è andato liscio, con il tempo a minacciar pioggia, ma che poi ha preferito regalarci un arrivo imperiale alle Terme di Caracalla sotto gli ultimi raggi di sole di un’annata che adesso possiamo finalmente mandare in archivio. Paolo si sfila i bracciali, Antonio lo vedi che sta pensando al pezzo da scrivere, l’indice di Matteo sta schiacciando stop sull’Edge, le immagini della Virb sono nelle mani di Walter, e Riccardo accarezza le ruote in carbonio a profilo alto, altissimo. E poi ci sono io, cantore o menestrello. E’ andato tutto bene: sembra quasi che il Radar abbia intercettato le nostre emozioni. Sembra. Quasi. Chissà.

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