Matteo Fabbro, dal basket al ciclismo... una vita di slanci

Dopo quattro stagioni tra le fila della Bora-hansgrohe, il ciclista di Codroipo (UD) passa a quelle della Polti-Kometa dove, a suo dire, ha ritrovato il clima familiare e accogliente della sua prima squadra, il Cycling Team Friuli, ma anche relazioni stimolanti, come quelle che ha coltivato quando giocava a basket. La sua è una vita all'insegna degli slanci... in cui più che atterrare è importante volare

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Compiere un balzo è un’azione che, riflettendoci, comporta sempre la presenza di un punto di partenza e di un punto d’arrivo. Può avvenire in altezza oppure in lunghezza, essere reale o figurato, fulmineo o protratto nel tempo, può veder protagonisti uomini o animali ma, a prescindere da ciò, senza queste due condizioni fondamentali esso semplicemente non si configura o, come direbbero alcuni filosofi, non è. Il balzo ha bisogno di nascere e finire e necessita, per essere compiuto a dovere e portato a termine senza riportare alcun tipo di conseguenze, di coraggio e forza esplosiva in fase d’avvio quanto di solide capacità ammortizzanti per attutire gli urti in quella conclusiva.

Su tutto ciò, Matteo Fabbro non ha potuto fare granché affidamento negli ultimi anni. Il Covid e, più in generale, una lunga serie di problemi fisici, infatti, hanno minato la sua tenuta atletica incidendo in maniera sensibile sui suoi risultati e sui suoi guizzi nel professionismo i quali, da una stagione all’altra, non hanno così potuto seguire parabole particolarmente esaltanti o spettacolari. Per questa ragione, dopo sei stagioni nel World Tour (le ultime quattro spese tra le fila della Bora-hansgrohe), il corridore di Zompicchia di Codroipo, classe 1995 ha deciso di fare un passo indietro sposando la causa dell’ambiziosa Polti-Kometa di Ivan Basso e Alberto Contador. Qui la speranza è che Matteo possa finalmente mettersi in luce e lanciarsi tra i big del pedale, lui che di salti, a guardar bene, è un intenditore, essendo passato dai rimbalzi della pallacanestro (“Giocavo un po’ perché mi serviva come preparazione invernale per il ciclismo e un po’ perché i miei genitori volevano allontanarmi dalle due ruote”) ai sobbalzi del ciclismo su strada, disciplina che da tempo anima casa Fabbro (“Vengo da due famiglie di ciclisti”) e a cui, ormai, Matteo devolve con passione giornate e energie.

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Ancora un'immagine del camp spagnolo in cui il team Polti-Kometa si è ritirato per allenarsi (foto di Maurizio Borserini).

Il basket, tuttavia, non ha abbandonato del tutto i suoi pensieri visto che Fabbro sogna ancora di “vedere una partita NBA dal vivo” e spera un giorno, oltre a ciò, di scambiare nuovamente due battute con un conterraneo che, dopo esser stato suo compagno di squadra nella Pallacanestro Codroipese, è riuscito a ritagliarsi il proprio spazio a livello nazionale con la palla a spicchi tra le mani, ossia Vittorio Nobile: “A differenza mia, è sempre stato un predestinato. Purtroppo non siamo in contatto, mi piacerebbe rincontrarlo un giorno e salutarlo, perché, dopo 2-3 anni sempre nella stessa squadra, eravamo diventati amici. Ho grandi ricordi di lui sia a livello umano sia a livello sportivo perché era veramente forte” dice Matteo.

Vittorio oggi gioca a Rieti dove è approdato quest’anno dopo aver trascorso sette delle ultime otto stagioni a Udine, in Friuli, la terra che non solo gli ha dato i natali ma gli ha anche permesso di crescere come sportivo e uomo. Vale lo stesso per Matteo che, seppur in un ambito differente, prima di sbarcare tra i pro’ si è sviluppato come corridore nella sua regione, militando da dilettante, per quattro anni, nel Cycling Team Friuli, oggi fucina di talenti e tra le più apprezzate realtà del ciclismo a livello giovanile.

Il cestista friulano Vittorio Nobile, ex compagno di squadra di Matteo.

Nel CTF io sono arrivato agli albori, ormai più di dieci anni fa. Non era il Cycling Team Friuli di adesso, era ancora più piccolo, più familiare e per me che sono un romantico, anche più bello” confessa Fabbro, “molto contento” oggi di riassaporare quel clima all’interno della rinnovata Polti-Kometa. “Qui ho in parte ritrovato quell’atmosfera e sono molto felice di questo. L’ambiente è molto familiare, bello, diverso da quello in cui ero prima. Un cambiamento completo era proprio quello che mi ci voleva” rivela Matteo, corridore per il quale il fattore ambientale, al pari di quello mentale, non è affatto d’importanza secondaria.

Matteo Fabbro con la maglia del Cycling Team Friuli, al termine del suo "assolo" durante l’80^ Coppa Città di San Daniele che lo ha incoronato vincitore (foto Scanferla).

Per come sono fatto io, credo che questo aspetto possa avere il suo rilievo perché sentire la fiducia da parte della squadra o dell'ambiente spesso è molto importante. Anche la testa sicuramente fa la sua parte. In che percentuale incide sulla prestazione rispetto alle gambe? Direi un 60%-30% perché poi ci vuole sempre anche un 10% di fortuna”.

Particolarmente rilevanti, dunque, nei casi come quello di Fabbro, diventano anche aspetti come i sogni: “Sognare è fondamentale, ma non solo per un ciclista, per tutti gli esseri umani alla fine. Parlando dei miei in particolare direi vincere una tappa al Giro d’Italia perché ci sono andato vicino varie volte. Mi basterebbe anche solo vincere in realtà, ma comunque questa non è un’ossessione. Non sono mai stato un gran vincente, sono sempre stato valutato per la regolarità dei risultati e questo mi ha sempre premiato. Altri obiettivi? Mi piacerebbe davvero tornare in azzurro perché già due volte ho fatto prima riserva al Mondiale e mi è andato stretto. Quello di quest’anno potrebbe essere adatto alle mie caratteristiche? Sì, ma meglio non dire niente”.

Sono passati quindi gli anni in cui Matteo avrebbe fatto di tutto per mettersi in tasca la Freccia-Vallone, una classica che certamente resta prestigiosa ma che non lo entusiasma più come una volta e che oggi, in termini affettivi, non supererebbe ad esempio un possibile successo nella tappa friulana di Sappada alla prossima Corsa Rosa, una frazione che l’ex Katusha ha già cerchiato in rosso sul calendario.

Sicuramente sarà una tappa interessante, vedremo cosa si potrà fare. Qualche anno fa avevo provato a dire la mia in quella che arrivava a San Daniele, però tutti lo sapevano, la squadra non voleva che io andassi in fuga quel giorno. Ma alla fine il richiamo della mia terra fu più forte. Ci potremmo riprovare quest’anno. Intanto arriviamoci, poi se saremo lì qualcosa ci inventeremo” afferma Matteo che, anche senza sbilanciarsi eccessivamente, fa intendere come, nel profondo, farebbe di tutto per poter alzare le braccia davanti alla gente e sulle strade della sua regione.

Strade come quella del Monte di Muris che Matteo porta nel cuore e ha spianato, tra gare e allenamenti, decine di volte: “Ho molti ricordi, molte esperienze legate ad essa. È sempre stata la prima salita che ho fatto partendo da Codroipo, è la salita su cui mi sono allenato per una vita ed è lì che, quando ho vinto la Coppa Città di San Daniele (che per i friulani è come un Mondiale), ho costruito la mia vittoria. È la mia montagnetta”, un posto da cui “puoi ammirare il mare” e godere di una vista che, secondo Matteo, può rappresentare un valido motivo per recarsi in Friuli a pedalare.

Alla fine” dice Matteo “penso sia speciale perché si tratta della mia terra. Credo che ognuno di noi abbia un legame personale, privilegiato con la propria. Ma in Friuli c'è davvero tutto: il mare, la pianura, la collina, la montagna e, nel raggio di 150 chilometri, puoi fare ogni cosa. È una terra inesplorata per molti versi. Se vuoi calma, tranquillità ma anche un po’ di casino allo stesso tempo il Friuli è perfetto, venite a provarlo. Per pedalare poi è l’ideale perché non c'è molto traffico, che è un fattore abbastanza importante, e c'è la cultura del ciclismo, che va conservata e spero venga mantenuta anche dalle prossime generazioni”. Il Friuli offre anche una gastronomia ricca di piatti dai sapori genuini come il frico, che i genitori di Matto producono localmente, "con cui puoi rigenerare gambe e spirito".

Le nuove generazioni però, per riuscire in quest’opera per nulla scontata, hanno bisogno di esempi in cui identificarsi, modelli da seguire, idoli in cui immedesimarsi, personaggi in cui rivedersi e atleti a cui ispirarsi. Il Friuli, da questo punto di vista, può contare su validissimi esponenti come De Marchi, Milan, Cimolai e lo stesso Fabbro che, in anni recenti, hanno preso il testimone da ex come Enrico Gasparotto e Franco Pellizotti, gente che a lungo ha contribuito a tenere alti i colori del Friuli in gruppo sfornando prestazioni di spicco ma, soprattutto, dispensando orgoglio, tenacia e grinta su qualunque palcoscenico venissero chiamati ad esibirsi. Con le stesse armi, Matteo si augura di farsi vedere il più possibile quest’anno in testa al gruppo, cogliendo al balzo le opportunità che gli capiteranno e, in tal modo, coinvolgendo nuove e altre persone nel complesso tentativo di centrare i suoi nuovi traguardi.

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