Gran giro d'Abruzzo

In sella ad una cara vecchia mtb degli anni 90 Paolo, uno dei partecipanti al nostro foto contest dell'estate, ha attraversato i luoghi più iconici dell'Abruzzo ma anche angoli più intimi, sconosciuti ai più, dove si pedala nel silenzio più totale, in paesaggi degni di un film western

Lo sconfinato altopiano di Campo Imperatore.

IL PROGETTO

L’Abruzzo nel cuore mi è entrato già lo scorso giugno, quando in 3 giorni ho pedalato lungo la sua costa da Martinsicuro a Punta Aderci. Colpito dalla bellezza di questa regione e della sua gente, mi sono ripromesso di tornarci per esplorare l’entroterra. Le sue montagne, la sua natura incontaminata ed esuberante e le sue aree poco antropizzate sono il teatro ideale per tutti i tipi di ciclismo, dal fuoristrada all’asfalto, fino alle piccole-grandi avventure. Detto fatto: mi metto all’opera e comincio a buttare giù una traccia, che somiglia più al percorso delle galline quando escono dal serraglio al mattino. Fortunatamente un aiuto per pianificare più razionalmente il giro l’ho avuto dal mio amico Sandro, un abruzzese di Pagliare di Roseto, anche lui appassionato di bicicletta e con un passato agonistico di tutto rispetto. Lo cito, perché lui è l’incarnazione delle qualità che ho trovato in tutti gli abruzzesi: gentili, ospitali, e tanto altro ancora.

Il percorso completo.

IL MEZZO

Non sto a pensarci su tanto, parto con la Lumacona; non è il mio animale da compagnia, ma la mia prima MTB avuta in regalo nel 1991. Dopo esserne rientrato rocambolescamente in possesso qualche anno fa, l’ho restaurata e adattata al viaggio a lungo raggio. È una decisione che ha molte ragioni: ha un assetto di guida molto comodo, ha un grande valore affettivo, e poi mi va di andare contro la moda dilagante, che ci vorrebbe tutti viaggiatori su gravel nuovissime, barba talebana lui e treccine Pippi-Calzelunghe lei, tatuaggi a profusione e micro-borsa con dentro solo un paio di slip. Invece stavolta la mia gravel resta a casa.

C’è parecchio fai-da-te nel suo allestimento da viaggio, un mix di soluzioni, il tutto ornato da una bandierina arancio-fluo che sarà il mio salvavita sulle strade trafficate. Sotto la bandierina sventola lo stendardo del leone di San Marco, non per campanilismo, è solo un modo per far sapere da dove vengo. Sommando il vestiario per ogni clima, cucina da campo, viveri, tenda, materassino, sacco e officina mobile, siamo intorno ai 40 kg. Più i miei 70 kg. Si parte.

La Liyang AT500 in sella alla quale Paolo Vedovato ha affrontato il giro in Abruzzo.

Roseto degli Abruzzi, Montorio al Vomano, Lago di Campotosto. Km 79 – Disl. + 1.270 m

Lascio di buon mattino l’auto da Sandro, appena fuori Roseto; facciamo colazione, mi promette che almeno una volta mi raggiungerà per una pedalata assieme, e ci salutiamo. Punto verso Ovest, lungo la statale ancora poco trafficata. L’ampia vallata del fiume Vomano è tutt’altro che noiosa, pur essendo un tratto di strada “di avvicinamento”. A sinistra s’intravede distintamente la parete del Corno del Gran Sasso, e i paesini che punteggiano le alture circostanti sono pittoreschi. Giunto a Montorio al Vomano ripiego verso Sud, la valle si restringe e il sonnacchioso falsopiano cede il passo alle salite vere. La valle è molto bella e fresca, peccato per alcune gallerie e per il traffico che, a un dato momento, esplode. Un po’ più su la valle si apre in un ameno pianoro, pochi chilometri prima del Passo delle Capannelle, e qui prendo il bivio per il lago di Campotosto. Ed è nuovamente salita, fin quasi sotto il muro della diga. Il lago è per estensione il secondo artificiale d’Europa, costruito erigendo ben 3 dighe tra gli anni ’30 e ’40 dello scorso secolo, onde sfruttarne il potenziale idro-elettrico. Arrivo sulla sponda dello specchio d'acqua un po’ conciato e con un ginocchio dolente, del resto è la prima faticaccia dopo quasi un mese di fermo. Il panorama è veramente incantevole; per via delle sue ramificazioni e del colore blu intenso, il lago ricorda quasi un fiordo. Il paese di Campotosto si trova a Nord del lago, mentre la mia destinazione si trova a Sud-Ovest, presso l’agri-campeggio Cardito, piccolo ma in stupenda posizione panoramica presso il Passo del Lupo. Per la cena ho prenotato presso il ristorantino del campeggio a conduzione familiare. La mia prospettiva di una noiosa cena solitaria svanisce presto, e riesco a radunare a un'unica tavola 2 piemontesi, 2 toscani, un abruzzese e ovviamente un veneto. La prelibata cena si basa tutta su prodotti della zona, tra i quali la pecora stufata e gli arrosticini. Il “filò” con i nuovi amici va avanti fin quasi a mezzanotte, e a furia di brindisi prosciughiamo tutta la mia misera scorta di grappa alle erbe autoprodotta, che avevo portato per le occasioni speciali. Evidentemente questa era una occasione speciale.

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In marcia verso Campotosto.

Lago di Campotosto, Fonte Cerreto, Campo Imperatore, Castel del Monte. Km 80 – Disl. + 1.491 m

Il mattino mi reca in dono un cielo azzurro e terso e il sole scintilla sul lago: sembra il paradiso! Dal lago di Campotosto al bivio per il valico delle Capannelle c’è una lunga discesa e l’aria frizzante del mattino mi risveglia come nemmeno il doppio caffè aveva potuto. Giunto sul passo, dove diritto si va a L’Aquila, prendo a sinistra in ripida salita, direzione Assergi. Il ginocchio si fa sentire molto; per fortuna dopo alcuni chilometri la pendenza si attenua, fino a percorrere un bellissimo altopiano cinto a sinistra dall’imponente massiccio del Gran Sasso. All’orizzonte, dove la strada scende nuovamente, si distingue Assergi, ma il mio percorso passa un po’ più su, per Fonte Cerreto, da cui parte la strada di Campo Imperatore. Mi godo la lunga discesa, poi un’ultima salita e sono a Fonte Cerreto per il pranzo.

No… io non ci volevo salire sulla funivia, mi ci hanno tirato su assieme alla mia bici con la forza!” Con questa scusa mando all’aria tutti i miei buoni propositi, compresa la scalata alla famosa “salita Marco Pantani” tanto cara ai ciclisti seri. Ma il rischio di dover chiudere qui il giro per colpa del ginocchio mi fa mettere da parte l’orgoglio e con agile balzo di cavi e carrucole mi trovo già a quota 2.100 m, tra nuvoloni scuri e un freddo vento teso da tutti i quadranti. Appena fuori dalla stazione della funivia mi vesto da palombaro e mi immergo in quello che sembra il parcheggio di un affollato centro commerciale; dopo un paio di foto mi tuffo subito giù per la strada, ad ammirare lo splendore del meno affollato altopiano di Campo Imperatore, simile ad una sconfinata steppa asiatica. Cerco un posto idoneo a bivaccare, con l’intento di godere dell’osservazione delle stelle a questa quota, ma comincia a piovere. Cambio quindi nuovamente programma e, visto che grazie alla funivia sono in anticipo di un paio d’ore, decido di proseguire fino a Castel del Monte, che sarà la mia casa per stanotte. L’altopiano è fantastico, anche con il brutto tempo. Oltrepasso il cartello che ricorda il punto esatto in cui Bud Spencer e Terence Hill hanno girato “Trinity”, e giungo al Ristoro Mucciante, nei pressi di Fonte Vetica. Mi avvicino a uno dei bracieri su cui i turisti bruciacchiano gli arrosticini acquistati nel negozietto e mi ci scaldo le mani per qualche minuto tra la sorpresa dei presenti. Il sole riappare pochi chilometri più tardi, mentre salgo al valico di Capo la Serra per poi discendere in 5 km a Castel del Monte, un borgo così caratteristico da essere sede dell’evento “la Notte delle Streghe”. Mi sistemo in un bell’alberghetto a conduzione familiare, dalla cucina veramente all’altezza dei panorami visti oggi. Festa patronale in paese, stasera si esce in abiti civili.

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Il paese di Castel del Monte (AQ).

Castel del Monte, Calascio, S. Stefano di Sessanio, L’Aquila. Km 55 – Disl. + 619 m

Tappa di oggi più culturale e meno faticosa: grazie a questo riposo e alla funivia di ieri, il mio ginocchio comincia a sfiammarsi. La prima meta di oggi è il borgo di Calascio, famoso per la sua rocca medievale, presso cui è stato girato il film Ladyhawke. Ci arrivo dopo un certo sali-scendi che – finalmente l’ho imparato – in Abruzzo è la regola. Dal borgo alla rocca c’è una salita con diversi tornanti, che decido di percorrere in sella alla Lumacona. Non mi aspettavo di incontrare Michelle Pfeiffer… che infatti non incontro, ma lo stupore che si prova in una giornata limpida, osservando l’orizzonte a 360 gradi da sopra le le mura merlate è veramente immenso. Alla rocca mi perdo in contemplazione per quasi due ore, mi fermo pure a conversare con una coppia di aquilani, che mi danno molti ragguagli sulle altre rocche presenti in zona, che mi fanno gentilmente osservare attraverso il loro binocolo. Un messaggio al cellulare mi informa a sorpresa che il mio amico Sandro sta percorrendo con amici ciclisti “l’anello” di Campo Imperatore. Ci diamo appuntamento a S. Stefano di Sessanio per il pranzo, dal momento che ci passo per andare a L’Aquila. In mezz’ora scendo dalla rocca e raggiungo S. Stefano, bellissimo borgo che fu dominato dalla famiglia Medici. Pranzo frugale a base di timballo, poi saluto i miei amici ciclisti abruzzesi e affronto la lunga discesa verso L’Aquila. Man mano che perdo quota avverto sulla pelle la temperatura che sale, vuoi per l’orario, vuoi per il fatto che L’Aquila è situata in una conca. In una conca sì, ma su di un’altura, al termine di una salita piuttosto antipatica da fare nelle ore più calde. Prendo possesso della mia stanza in un albergo del centro, poi mi butto a casaccio per le vie della bella città, ferita e in via di guarigione. Tutte le vie sono pervase da profumo di malta e intonaco fresco. Scopro con stupore che il centro è una babele di bar, baretti, pub, bistrot… È una città universitaria, e questo spiega tutto. Mi concedo un ultimo gelato, poi verso la branda: domani si torna a salire di quota.

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La suggestiva Rocca di Calascio (AQ).

L’Aquila, Rocca di Cambio, Rocca di Mezzo, Piani di Pezza. Km 52 – Disl. + 1.103 m

Anche oggi meteo perfetto. La bella strada che porta sull’Altopiano delle Rocche ha una pendenza costante senza strappi, con alcuni tornanti e scorci panoramici sulla valle e su L’Aquila. A metà salita mi trovo improvvisamente “adottato” da due gentili ciclisti romani di 75 e 82 anni, che mi scortano fino a Rocca di Cambio e mi offrono il caffè. L’altopiano è bellissimo, ancor più in questo periodo in cui è punteggiato di balle di paglia, residuo della mietitura, che risaltano gialle sulla terra nera e fertile. A Rocca di Mezzo saluto i due giovanotti romani e poi in salita raggiungo i Piani di Pezza, dove intendo passare la notte allo stato brado. Si tratta di una conca immensa e piana, circondata da montagne con quote superiori ai 2.000 m, lo scenario ideale per un western tipo “Balla coi Lupi”.

Mi inoltro nella piana, alla ricerca di un punto adatto a bivaccare senza incorrere nelle ire dei guardia-parco e, a metà vallata, comincio a spingere la Lumacona su per un sentiero impervio, verso l’altare di Giovanni Paolo II, dove negli anni ’80 il Papa polacco ha celebrato una messa. Trovo l’ara in posizione nascosta e ai margini del bosco, e qui decido di installare il campo base. La cucina stasera propone risotto, carne in conserva, frutta secca e biscotti. Appena il sole cala dietro le creste la temperatura si irrigidisce e approfitto dell’ultima luce per prepararmi alla notte. Fondamentale accorgimento è far sparire tutto il cibo in una sacca stagna, che appendo il più in alto possibile sul traliccio della croce, lontano da orsi e lupi. Cerco di scrivere un po’, ma freddo e stanchezza mi invitano a entrare nel sacco a pelo, e alle ore 21:30 sono già in compagnia di Morfeo. Ma poco dopo ho un sussulto e mi alzo seduto nella tenda, che avverto circondata da numerosi animali. Sento il loro distinto calpestio tutto intorno, ma il buon senso mi dice che non sono lupi, i quali sono come fantasmi e non si annunciano certo così palesemente. Punto la torcia attraverso la zip della tenda mezza aperta e vedo una moltitudine di occhi luminescenti che mi fissano. “Tatanka!” avrebbe detto Kevin Kostner. “Mucche!” esclamo invece io. Maledette, sono salite da due chilometri più sotto e, senza campanacci, mi hanno fatto pigliare un colpo. L’occasione è buona per prendermi un po’ in giro e per osservare la magnifica volta stellata che incombe sospesa sulla mia tenda, insignificante puntino arancio perso nell’universo.

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Piani di Pezza

Piani di Pezza, Ovindoli, Celano, Pescina, Cocullo. Km 72 – Disl. + 670 m

Passata indenne la notte malgrado le mucche mannare, lascio i Piani di Pezza e perdo quota verso Ovindoli, bellissimo borgo e rinomata località turistica. Una visita tra le viuzze del paese, poi giù in picchiata verso Celano, che si annuncia a distanza con il suo castello a 4 torri quadrate, connubio di elementi medievali e rinascimentali. Terminata la discesa mi ritrovo in quella che mi sembra una calda pianura, tralasciando il fatto che siamo comunque a 700 m. Devo oltrepassare Pescina per cominciare nuovamente a risalire il fianco di una montagna e, al termine di una lunga salita sotto il sole pomeridiano, sbucare attraverso una galleria sul valico di Olmo di Bobbi. Il panorama che si apre a Nord sull’altro versante della montagna è spettacolare: colline dorate punteggiate in lontananza da enormi “funghi” bianchi piantati per sfruttare l’energia eolica e, all’orizzonte, montagne a perdita d’occhio fino al Gran Sasso. Nei pressi del valico scambio impressioni di viaggio con un motociclista romano, poi ci scambiamo un paio di foto e mi lancio sulla lunga discesa che conduce a Cocullo, borgo noto per la caratteristica “Festa dei serpari” e per la processione con la statua di San Domenico Abate, addobbata da innocui e sonnacchiosi rettili autoctoni. Tappa presso il Bio-agriturismo Sofia, dove divento subito amico dei proprietari e dove avrò un’altra prova esemplare dell’ottima cucina locale.

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Il paese di Ovindoli (AQ).

Cocullo, Gole del Sagittario, Villalago, Scanno, Passo Godi, Villetta Barrea. Km 58 – Disl. + 927 m

La strada che attraversa il profondo canyon delle Gole del Sagittario è stata “rubata” a colpi di dinamite al fianco roccioso della montagna e gli spazi per sostare e fare qualche foto sono veramente pochi anche per una bicicletta. Procedo sempre in salita, fino al punto in cui la valle si apre in prossimità della diga che forma il Lago di San Domenico. Il caratteristico ponte in muratura che taglia a metà il lago conduce a un piccolo santuario e all’eremo di San Domenico Abate, che mi fermo a visitare ottenendo dal prete anche una benedizione contro gli incidenti stradali. Il lago è sovrastato da uno dei più bei borghi d’Italia, Villalago, dove mi fermo un attimo prima di ripartire verso Passo Godi. Incontro subito dopo il lago di Scanno, popolato di villeggianti, quindi il bel borgo di Scanno, tra le cui viuzze girovago in cerca di ristoro. Il pranzo a Scanno è l’unica nota stonata del viaggio: i ravioli erano buoni, ma erano 4 per un totale di 12 €, ovvero 3 € a raviolo, ehm. Faccio buon viso ed esco dal locale, scoprendo con sconcerto che la Lumacona ha deciso “motu proprio” di vendicare lo striminzito pasto… lasciando cadere per terra, a lato dell’ingresso, una enorme macchia nera di olio. In effetti avevo da pochi chilometri lubrificato la catena, forse un po‘ troppo... Me la svigno in salita verso il Passo Godi, guardandomi le spalle ad ogni curva e immaginando di essere seguito da un’Ape scassata con a bordo cuoco e cameriere muniti di coltellacci da carne…

Invece arrivo a Passo Godi incolume, dove una cola ed il bel panorama mi ristorano prima della discesa verso Villetta Barrea. La vista sul Lago di Barrea è notevole, non vedo l’ora di stabilirmi presso l’alberghetto che ho scelto per la notte e uscire a camminare a caso tra le deliziose abitazioni del borgo.

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Il ponte che porta all'eremo di San Domenico, nel comune di Villalago (AQ).

Villetta Barrea, Caste di Sangro, Roccaraso, Altopiano delle Cinque Miglia, Campo di Giove. Km 68 – Disl. + 885

Il lago di Barrea scintilla al primo sole del mattino, mentre passo attraverso il borgo di Barrea e scendo verso Castel di Sangro. Non siamo troppo lontani dal Molise, si capisce anche dalle indicazioni stradali. Cerco di evitare la strada statale per arrivare a Roccaraso, ma rimedio una strada secondaria con alcuni punti al 14%, su cui la mia pesante Lumacona arranca sotto il sole. Mi riposo un attimo in un parco a Roccaraso, dove conosco due simpatiche marchigiane che mi danno lo spunto per un prossimo viaggio sui Monti Sibillini. Finalmente eccomi davanti a Rivisondoli, poi sull'Altopiano delle Cinque Miglia, dove una strada in linea retta taglia una sconfinata pianura coltivata a grano, in uno scenario da Route 66 nei film di Hollywood. Vento sempre contro, naturalmente. Anche la stazione di Palena, piccola e deserta, ricorda un po’ certi film americani; da qui proseguo in salita, sovrastato a destra da montagne che sono le propaggini sud della Majella, fino a giungere a Campo di Giove. Appena fuori dal paesino mi sistemo presso il Camping Orsa Minore, un po’ selvatico ma per questo molto bello, con un’ampia area per le tende che prevale, una volta tanto, sui parcheggi per caravan.

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Camping a Campo di Giove.

Campo di Giove, Passo San Leonardo, Caramanico Terme, Chieti. Km 72 – Disl. + 690 m

La notte scorsa la minima è scesa a 6 gradi. Con la mia moka da viaggio preparo caffè caldo per tutto il reparto due ruote del campeggio: due motociclisti di San Giovanni Rotondo, un motociclista di Caserta e il sottoscritto, vicini di tenda e unici biker, pur con evidenti differenze di mezzi. Mi dirigo verso il Passo San Leonardo, incontrando numerosi ciclisti, sempre accompagnato sulla destra dalla lunga caratteristica muraglia della Majella. Il passo è popolato di turisti che vi giungono con tutti i mezzi. Sosto presso un ambulante che prepara focacce con pecorino arrostito e friarielli, mentre la mia bici parcheggiata a lato suscita curiosità e stimola discussioni con sconosciuti avventori sui diversi modi di viaggiare.

Scendo dal passo verso la valle del fiume Pescara, passando per Sant’Eufemia a Majella e Caramanico Terme. L’aria torna a essere calda e mi domando perché mai ho cambiato itinerario all’ultimo momento, ponendomi come meta del giorno Chieti. Non ho nulla contro Chieti, ma la salita che bisogna percorrere per arrivarci mi ricorda quanto sia importante consultare l’altimetria di ogni tappa prima di partire. I vari periodi architettonici che coesistono nella città, specialmente i più recenti, la rendono ai miei occhi un luogo “curioso”, ma non per questo meno bella. (FOTO: da 35 a 38)

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Passo San Leonardo (AQ).

Chieti, Ripa teatina, Tollo, Ortona, Costa dei Trabocchi. Km 62 circa

La via più logica sarebbe scendere a Pescara e percorrere il litorale fino a Ortona, dove inizia la “Via verde dei trabocchi”, le caratteristiche costruzioni in legno usate per la pesca. Ma, come ricordo dalla mia precedente esplorazione di giugno, tra Francavilla e Ortona c’è un tratto di strada molto trafficata e poco adatta alle biciclette, da evitare. Scendo da Chieti e taglio quindi in diagonale a sud-est, su e giù per vari paesini posti sulla sommità delle colline, direzione Ortona. Diversi chilometri dopo, affaticato per il continuo saliscendi, mi fermo a una fontanella per consultare la mappa alla ricerca di una via più pianeggiante. Come uscito dal nulla, mi si para innanzi un ciclista di Ortona, che si offre di accompagnarmici lungo la via migliore. Lo seguo a ruota, anche se sulle numerose salite metto alla prova la sua pazienza e i miei polmoni. In breve ci troviamo a una rotonda nel cui centro c’è un carro armato Sherman della II Guerra Mondiale, con i contrassegni dell’Esercito Canadese, a memoria dei duri scontri avvenuti contro le truppe tedesche proprio per la conquista di Ortona. Saluto la mia guida di oggi dopo che mi ha accompagnato fin all’inizio della pista e procedo finalmente in piano, in modalità “pilota automatico”, godendomi lo splendore del mare e della costa. In località Vallevò mi fermo all’Ancora e mi faccio coccolare da una chitarrina allo scoglio annaffiata dal buon vino Pecorino della zona. Indugio con il bianco fresco, mi mancano infatti pochi chilometri per giungere al Camping Verdemare di Valle Caterina, dove pianto il mio accampamento, faccio il bucato e mi appresto a trascorrervi il Ferragosto, giornata in cui sarà meglio non far niente e fermarsi a riposare.

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Il carro armato Sherman, a Ortona.

Camping, Punta Aderci, Punta Penna, Vasto, e ritorno. Km 43 – Disl. + 350 m

Ferragosto quasi ozioso, con la bici senza carico, dedicato però a visitare alcune località molto belle. Dalla riserva di Punta Aderci, a cui si accede in bici attraverso un facile sterrato immerso nella vegetazione, si può spaziare con lo sguardo in tutte le direzioni. Ci arrivo quando non fa ancora caldo e vi rimango un bel po’ in osservazione. Dalla sommità, verso Nord si vede tutta la Costa dei Trabocchi, leggermente arcuata, da Ortona fino alla piccola insenatura sotto Punta Aderci già popolata di bagnanti. Verso Sud, il faro di Punta Penna svetta all’orizzonte, sul rilievo dietro al quale si nasconde Vasto. Sotto si scorge il bellissimo trabocco di Punta Aderci, contornato da alcuni piccoli scogli messi lì da qualche pittore impressionista. Mi dirigo quindi verso Punta Penna, attraversando un’estesa zona industriale, scoprendo poi che anche questa località è un sito industriale con relativo porto, installazioni della Marina, il faro e una bella chiesina del sec. XV.

Ritrovo la ciclabile che prosegue fino a San Salvo, per poi lasciarla nuovamente nei pressi di Vasto, salendo di quota con ripido sbalzo, fino al borgo antico della cittadina. Ogni stradina del centro nasconde qualcosa da scoprire; gironzolo per un po’, godendo dell’ombra e della brezza marina, per poi dirigermi al belvedere che percorro a piedi ammirando il mare da un lato e le costruzioni antiche dall’altro. Faccio ritorno senza fretta al camping, premurandomi di prenotare in zona per una cena di pesce degna di Ferragosto, fuochi d’artificio inclusi. Domani sarà una tappa di trasferimento, andrò a Roseto per riprendere la macchina e, sempre in giornata, farò ritorno nell’afa padana. (FOTO: da 41 a 45)

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Punta Aderci (CH).

Valle Caterina, Ortona, Pescara, Roseto. Km 93

rrivederci Abruzzo! Mentre il campeggio dorme ancora, smonto tutto e carico la lumacona per l’ultimo viaggio della mia vacanza. La pista dei trabocchi si è popolata di mattinieri, che si tengono in forma con corsette e balzi laterali da nazionale calcistica; li schivo, pur senza mai staccare lo sguardo da quel panorama magico che è il mare al primo sole del mattino. Al termine della pista saluto anche Ortona e passo indenne anche quel tratto di strada trafficata di cui parlavo, rientrando poi a Francavilla nella rete di ciclabili litoranee chiamata Via Adriatica. La buona notizia del giorno è che il mio amico Sandro sta partendo da Roseto per venirmi incontro con la sua gravel e percorrere insieme qualche chilometro. Lo incontro poco dopo aver attraversato il bellissimo “ponte sul mare” di Pescara, tante sono le cose da raccontargli, e pochi sono i chilometri rimasti. Ci fermiamo a Silvi per un buon piatto di linguine con le paparazze, infine condividiamo la strada che rimane fino a casa sua. Ci congediamo, poi salgo in macchina con una felicità mista a un inspiegabile senso di commozione. È la stessa che ho provato l’ultima sera al camping, mentre ascoltavo dei ragazzi molto giovani suonare la chitarra e cantare insieme. L’ultimo brano eseguito era un canto dialettale, con una melodia dolce, che sembravano conoscere molto bene. “Luntane, cchiù luntane de li luntane stelle…” è un canto tradizionale abruzzese. Racconta della nostalgia di un marinaio, che intona ispirato dal chiarore delle stelle. È quel sentimento struggente che taluni provano quando sono lontani da casa e che, una volta tornati, provano per il viaggio che hanno appena concluso. Nostalgia che, evidentemente, in Abruzzo non risparmia nemmeno i ciclisti.

Ritorno verso Roseto (TE).

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