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Dal Moncenisio a Trieste, la mia traversata bikepacking

Il nostro "bikepacking contest" è stata l'occasione di conoscere molti traveller che ci seguono e che non si sono limitati a inviarci le foto del loro viaggio, ce l'hanno raccontato. Cominciamo da Gloria, disegnatrice tessile 31enne di Cantalupo (MI), e dalla sua esperienza sulla ciclovia AIDA: quasi 1.000 km, 4 regioni, una buona causa... e un numero indefinito di caffè

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Eccomi all'arrivo della traversata, sul lungomare di Trieste.

Mal di bici. Dicono esista il mal d'Africa ma credo di avere il mal di bici. Non so se esista davvero questo termine ma è la sensazione che ho provato la mattina successiva alla fine del mio viaggio di 900 km sulla ciclovia AIDA (Alta Italia Da Attraversare) un progetto FIAB Onlus, un percorso straordinario che unisce Ovest ed Est del Nord Italia, dal Moncenisio a Trieste passando per i più svariati paesaggi: dalle montagne della Val di Susa alle risaie colme di aironi del Piemonte, dai canali e le città della Lombardia al Veneto e al Friuli con i loro frutteti, vigneti e province d'arte. La litoranea per Trieste poi è stata meravigliosa, ti accompagna fino al capoluogo del Friuli Venezia Giulia permettendoti di goderti il mare ma anche le bellezze della città che è un crocevia e "a metà di tutto: tra la città marittima e la metropoli culturale, tra Occidente e Mitteleuropa, tra Italia e Balcani".

Il mio viaggio è durato 10 giorni, durante i quali la mia bici è diventata la mia casa, la mia famiglia, che mi ha fatto compagnia in ogni momento della giornata. Il bikepacking è un mondo meraviglioso, un modo unico di viaggiare che ti permette di godere di tante piccole cose sul tuo cammino e ho cercato di raccontarlo ogni giorno sui social.

La routine che mi rende "leggera"

La mattina sveglia, colazione al volo e rinfila le borse sulla bici, pedala, bevi, mangia, chiacchiera con qualcuno al bar e cerca di non perderti. Arriva a destinazione, stacca le borse, doccia, lava i vestiti, stendi, indossa il cambio "civile" e goditi la meta del giorno. Cena, prepara la traccia gpx per l'indomani, stretching e dormi sognando di pedalare. E per quanto questa sembri una routine rigida ogni singola cosa risultava sempre nuova, perché il luogo in cui la facevo era sempre diverso. Ho la sensazione di aver vissuto un'altra vita, in cui bisogna avere un po' di sana follia e tanta voglia di lasciare andare quella parte di noi che vuol tenere tutto sotto controllo, quel lato che qualche anno fa in vacanza si portava mezzo armadio per "essere tranquilla di avere tutto, non si sa mai". Ora mi sono abituata a pesare al grammo ogni cosa e non mi sono mai sentita così leggera.

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Il contenuto della borsa piccola da manubrio.

Una buona causa

Essendo il mio primo vero viaggio in questa modalità ero partita con mille dubbi e ansie, soprattutto perché soffrendo della malattia Ehlers Danlos, avevo paura che qualche sintomo si accentuasse. Sotto il nome di questa rara sindrome vengono raggruppate diverse malattie ereditarie dovute a un difetto nella produzione del collagene, componente essenziale del tessuto connettivo: attualmente se ne conoscono tredici tipi, classificati a seconda delle specificità sintomatiche e del difetto molecolare coinvolto.

Durante questo viaggio, invece, ho imparato maggiormente ad ascoltare il mio corpo, prendermi le mie pause e godermi l'esperienza in tutti i sensi, grazie anche all'associazione AISED, che si occupa di aiutare chi soffre della mia stessa sindrome, che ad oggi è ancora invisibile. Una catena forte a cui spesso mi sono aggrappata per avere sostegno fisico e morale, per promuovere la quale ho aperto una raccolta fondi.

Se al mal d'Africa non c'è medicina, mi toccherà tornare in sella a breve!!!

Chiunque voglia raccontarci le sue vacanze potete inviarci report e foto all'indirizzo estate@ciclismo.it

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