I luoghi del ciclismo: Colle del Melogno

Inauguriamo una rubrica sui luoghi che, per svariate ragioni, sono significativi per il ciclismo. Partiamo con il Colle del Melogno (SV), che collega la Riviera ligure con la Val Bormida e che, dopo 23 anni, il prossimo 7 maggio, torna ad essere toccato dal Giro d'Italia

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Un dettaglio del Forte Centrale del Melogno.

Se chi abita dalle parti di Pietra Ligure e dintorni ne è a conoscenza da tempo e, ormai, vi ha fatto il callo, chi sopraggiunge in Riviera per la prima volta (oppure, semplicemente, la frequenta da anni ma non vi ha mai fatto caso) ne è totalmente all’oscuro e non sa che, diciotto chilometri di asfalto in direzione nord-ovest, si staglia il Colle del Melogno.

Dal ponte sul Torrente Maremola basta alzare il capo per trovarlo là, impassibile, obbligato dalla sua immobilità a scrutare tra le fronde la vita (frenetica d’estate, molto più placida nei mesi invernali) a valle. Riconoscerne la cima è semplice e uno sguardo allenato, scorrendo il profilo arrotondato dei monti in lontananza, impiega non più di un secondo per individuarla al centro della dolce conca che intercorre tra i pendii del Bric Tortagna (alla sua sinistra dando le spalle al mare) e il Monte Settepani a destra.

Lassù, a 1.028 m d’altitudine, il Colle del Melogno passa in rassegna (da un punto panoramico indubbiamente privilegiato) il mare all’orizzonte, lo scorrere dell’esistenza nei centri abitati sottostanti e, in molti punti, anche ciò che accade lungo le proprie pendici che, specie nei mesi più caldi, pullulano di trekker (richiamati a queste quote dalle bellezze dell’Alta Via dei Monti Liguri) e, soprattutto, di ciclisti impegnati a riversare tutte le proprie energie sui pedali per guadagnarne la sommità.

Il foliage nelle foreste di Calizzano.

È vetta ambita e decisamente battuta dagli amanti delle due ruote quella del Melogno, asperità che, all’interno della provincia di Savona, mettendo in collegamento l'alta Val Bormida e Calizzano con i comuni della Riviera della Palme costituisce da tempo uno snodo viabilistico di grande importanza. Ne sono prove tangibili i resti dei forti militari (costruiti tra il 1883 e il 1885 dal Regio Esercito per difendersi e scongiurare possibili risalite francesi via mare) presenti sulle alture circostanti, reperti che danno forte valenza storica a una zona che, anche per coloro che oggi la percorrono in bicicletta, resta tutt’altro che semplice da dominare.

La salita infatti, qualsiasi sia il versante prescelto, la fa da padrona costringendo chiunque l’approcci a tirar fuori le proprie miglior doti di grimpeur e resistenza perché, più che le pendenze (non proibitive), è la lunghezza della scalata a costituire la maggiore difficoltà. Il lato nobile, in particolare, quello che prende il "la" da Finale Ligure e col quale, lungo la strada, si ricongiungono poi le varianti da Tovo San Giacomo, Feglino, Osiglia, Piano Sottano e Calice Ligure (queste ultime quattro attraverso il Colle del Doppio Bivio) misura ufficialmente 16,7 chilometri, una lunghezza non indifferente che necessita di allenamento e, soprattutto, di una gestione oculata dello sforzo per non arrivare “finiti” all’ingannevole parte conclusiva dove, pur con la vetta sempre a tiro, la strada si srotola lungo la dorsale dominata dal Bric Gettina obbligando i ciclisti a stringere i denti più di quanto si aspetterebbero.

È da questo versante che nel 2000, in occasione della diciottesima tappa (la Genova-Pratonevoso), il Melogno ha ricevuto quella che rimarrà l’unica visita nella storia da parte del Giro d’Italia fino al prossimo 7 maggio, giorno in cui, nel corso della frazione da Acqui Terme ad Andora, il valico ligure sarà nuovamente teatro del passaggio di una corsa di ciclismo professionistico su strada. In questa circostanza, tuttavia, i “girini” raggiungeranno il GPM inerpicandosi non dal mare ma da Calizzano, paese dal quale la salita risulta essere certamente più breve (8,9 km) e più semplice in termini di pendenza ma, almeno da un punto di vista paesaggistico, non meno meritevole.

Al contrario del versante marino molto più aperto ed esposto, la bellezza della salita al Melogno dal lato padano (affrontato dal Giro Donne nel 2015) risiede nella folta e quasi impenetrabile faggeta nella quale, lasciate alle spalle le ultime tracce di presenza umana, ci si immerge a 4,3 chilometri dallo scollinamento. Da questo punto, inframezzati di tanto in tanto da betulle, pini silvestri e abeti bianchi, i fusti longilinei di questi alberi avvolgono la strada sia lateralmente che, attraverso il fogliame, verticalmente, creando una copertura e un microclima che, nei giorni più afosi, offrono refrigerio, ombra e un gradito riparo dal caldo mentre, in quelli contraddistinti dal brutto tempo, smorzano sia la pioggia che la luce proiettando i ciclisti in uno scenario dai tratti onirici e spettrali. Per qualche migliaio di metri, dunque, la natura, a prescindere dalle condizioni, si stringe attorno all’uomo e, a tratti in maniera benevola, a tratti quasi inquietante, accompagna la sua marcia stimolandone i sensi, olfatto e udito su tutti. Il ticchettio delle gocce di sudore sul telaio della bici, l’eco di un rigagnolo d’acqua a bordo strada, il raspare frenetico di un animale in lontananza, gli ululati prodotti dal vento che gioca con le chiome, gli odori forti del sottobosco: tutto in questi pochi chilometri viene amplificato e rappresenta una possibile fonte di distrazione per il ciclista che, suo malgrado, non può totalmente lasciarsi inebriare dal contesto naturalistico perché la salita “morde” fino all’avvistamento della cima quando, con un’ampia curva, la strada spiana e, passato l’ex ristorante La Baita, si inoltra nel varco presente all’interno del Forte Centrale iniziando a scendere.

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On the road.

Prima della picchiata, appena oltrepassate le mura di pietra della struttura militare (o, in senso contrario, appena prima di essa), un largo spiazzo in terra battuta invita a fermarsi e ad abbracciare visivamente la costa, laddove si è partiti o si sta per arrivare, contemplando ciò che il Colle del Melogno, silenzioso e imperturbabile, guarda da anni, stagione dopo stagione.

Difficilmente i corridori del Giro d’Italia, il prossimo maggio, nel pieno della tappa, avranno il tempo di sostare qui e, indossando gli occhi della montagna, godere del panorama e dell’alpestre quiete circostante. Molti altri però, prima e dopo di loro, liberi da vincoli agonistici potranno farlo e certamente finiranno per apprezzare lo sguardo voyeuristico ma discreto che, dall’alto di questo valico, si può rivolgere al mondo sottostante, un mondo spesso ignaro dell’esistenza, alle sue spalle, poco sopra i 1.000 metri di quota, di un’erta che, da luogo fortificato, è diventata oggi libera terra di conquista per tenaci pedalatori e sensibili divoratori di paesaggi.

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