Muro di Sormano: i rapporti si accorciano - Puntata Due

Abbiamo visto che, con i rapporti in uso negli anni Sessanta, il Muro era una tragedia. Qui cerchiamo di fare il punto su quando e come finalmente si sono accorciati. E continuiamo a raccontarvi la storia di questa salita leggendaria: prima la gloria, poi il declino e, ora, la rinascita

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Ѐ ancora troppo presto per raccontarvela metro per metro: siamo solo alla seconda puntata!

Eravamo rimasti ai primi anni 80, quando era normale che una bicicletta da corsa strada dovesse affrontare qualsiasi salita con il 42x22. Io però desideravo una bicicletta con i rapporti più corti e ho così scoperto l’esistenza delle cosiddette “cicloturismo alla francese”, chiamate così perché Peugeot produceva le Randonneur, molto popolari presso i viaggiatori a pedali.

Ecco una Randonneur in versione base, con doppia moltiplica e un solo portapacchi.

Era una tipologia inconcepibile in Italia, dove il ciclista medio aveva, come fonte principale di ispirazione, i corridori professionisti. Invece all’estero, per esempio in Francia, Svizzera, Germania ma anche Giappone, queste biciclette erano apprezzate. Si partiva da una stradale, la si dotava di cerchi più robusti, di pneumatici di sezione maggiore, di freni a cantilever o a U, di portapacchi anteriori e posteriori, di borse laterali, di fari a dinamo. Sulla piega, che restava curva, potevano comparire le doppie leve dei freni, ovvero quelle in posizione canonica sulla parte bassa e quelle alte. Soprattutto, alcune di queste biciclette vantavano la guarnitura tripla, in cui alla canonica coppia 52-42 veniva aggiunta una 32. Abbinata a un pignone posteriore da 24, ovvero il massimo raggiungibile con i deragliatori standard dell’epoca, permetteva un rapporto di 1,33. Era giusto: un professionista portava in salita biciclette pesanti 9 kg, mentre un turista spesso si ritrovava con pesi complessivi dell’ordine dei 40 kg. Ci stava, che avesse rapporti più corti e freni più potenti. La mia idea era quindi quella di impossessarmi di una tripla da montare sulla mia Bianchi Sprint, ma il progetto è evaporato quando, nel 1981, qualche strunz mi ha rubato detta bicicletta, dal posteggio “custodito” del liceo.

Una Silk, della giapponese Katakura, in perfetto assetto da viaggio. Portapacchi anteriore e posteriore, elegantissime borse laterali, sella Brooks o similare, leve freno alte su piega corsaiola, impianto d'illuminazione doppio (dinamo + torcia a batterie). Ma, soprattutto, tripla moltiplica anteriore.

Nel 1985, mentre ero in vacanza con mio fratello in un campeggio di Parigi, ci si parò davanti un cicloturista con un mezzo alieno. Era una bicicletta carica di bagagli che non aveva niente a che fare con ciò che avevamo visto finora. La prima cosa che ci colpì erano le ruote: cerchi da 26” con gomme da 2” tassellate, palesemente da fuoristrada. Freni cantilever. Uno strano manubrio che faceva pezzo unico con l’attacco, triangolare: il bullmoose. Ma è la trasmissione che ci faceva uscire di testa, perché sfidava le leggi della fisica. Aveva una tripla moltiplica e sei pignoni dietro, ma le dimensioni degli ingranaggi erano surreali, da fumetto. Davanti 48-38-28, dietro 14-32. Mai viste corone così piccole. Mai visti pignoni così grandi. Soprattutto, mai visto l’ingranaggio anteriore più piccolo del posteriore… Io ero scettico: “Ma può funzionare? La fisica accetta questa inversione?”. È come se qualcuno mi stesse parlando di orari col meno davanti, che facessero andare indietro nel tempo, o di oggetti capaci di invertire la forza di gravità. 28:32 portava a un inverosimile rapporto di 0,88. Mai visto con lo zero davanti. Cosa succedeva in salita con ‘sto valore? Che salivi sui muri veri, quelli delle case?

Insomma, è così che ho scoperto le mountain-bike. La corona più piccola del pignone, inaudito.

Poiché ero appassionato di moto da fuoristrada e di scialpinismo, questo oggetto rappresentava la chiusura del cerchio, era il tramite tra le due attività. Ma ho scoperto - e con me tanti altri - che avere un rapporto di 0,88 non fa salire le biciclette sui muri. Si fa comunque fatica. Per avere quella rivoluzione, ovvero fare le salite senza il fiatone, bisognava aspettare le e-bike. Ma le mtb hanno comunque rivoluzionato la concezione che avevamo dei rapporti delle biciclette. Con la scusa che erano destinate al fuoristrada, hanno sdoganato i rapporti cortissimi anche su strada, semplicemente a frequenze maggiori. La cosa comporta un utilizzo predominante di parti del corpo diverse. Hai bisogno di meno muscoli, ma non è facile essere agili. M’è capitato diverse volte di salire usando la corona intermedia, quella da 38 e di venire passato da gente che mulinava il 28, il cosiddetto “padellino”; e mi sono reso conto che scalare marcia e aumentare la frequenza non era per niente facile. Ben altra questione è se invece mantieni la stessa frequenza con il padellino: lo fai perché sei poco allenato o perché sei stanco. Quell’ingranaggio da 28 era la salvezza contro crampi, soste e piedi per terra.

Dubbi

Ciò ha drasticamente cambiato l’approccio con le salite. Nel 1991 io e i miei amici abbiamo deciso di usare il Muro di Sormano come via di salita per il Monte Palanzone, per poi scendere su Erba in fuoristrada. Avevamo quindi tutti le mountain-bike. Quando pratichi questo genere di ciclismo ti abitui ad affrontare salite sterrate e sentieri ripidissimi. Usi questi rapporti stracorti, col rapporto inferiore a 1 ma sai che, in molti casi, sarai costretto a salire a piedi, magari con la bici in spalla. Per uno stradista è un’umiliazione, per un biker una cosa normale. Il Muro di Sormano lo vedi come una strada neanche troppo ripida, in più molto scorrevole, essendo asfaltata. Metti il padellino, sali chiacchierando, arrivi in cima senza problemi e nessuno ti dà dell’eroe. Invece se lo fai con una bici da strada col 42x22 che avevo una volta sputi i polmoni, ti vengono i crampi, ti fermi a prendere fiato, spingi a piedi. Arrivi in cima e ti applaudono. E ti poni la domanda: ma cos’è il ciclismo? È fare le cose più difficili per sentirsi figo o sfruttare la tecnologia per fare meno fatica? Comincia a venirti il dubbio che fare trekking con uno zaino pieno di pietre sia figo come fare il Muro di Sormano con rapporti da professionista, senza essere un professionista. Ricordo un amico che si vantava di avere fatto il Mortirolo con lo stesso rapporto di Marco Pantani (39x23, pari a 1,70, quindi più corto rispetto alla mia Bianchi ma più lungo a confronto con quello di Baldini). Il problema è che lo aveva fatto a passo d’uomo, con le tempie che gli scoppiavano e la faccia paonazza, superato da quelli con le mtb e il padellino. Era un eroe o un fesso?

Per essere figo come Pantani non basta fare il Mortirolo con i suoi stessi rapporti: devi anche avere la sua stessa cadenza...

Ma allora perché siamo andati a fare il Muro di Sormano, in quel lontano 1991? Non era un’impresa. Però il ciclismo non è solo sport ed imprese eroiche, è anche turismo, cultura, divertimento, avventura e curiosità. E noi volevamo percorrere un templio del ciclismo, come si fa andando ai musei. Tuttavia, come sfida personale decisi che lo avrei fatto in colpo unico, senza soste e senza usare il padellino, quindi col 38x32 (rapporto 1,19). Era un rapporto molto più corto rispetto a una bici da strada, ma è anche vero che le mtb sono più pesanti e meno scorrevoli, quindi non ero così tanto in carrozza. Gli amici invece dissero che se ne fottevano di fare l’impresa e se la presero comoda, usando il 28x32 e facendo svariate soste.

Appena iniziata la salita venimmo passati da un tipo alto, biondo, con gli occhi azzurri, magrissimo e con dei polpacci di marmo. Indossava la livrea Motorola. Se ci penso oggi, mi domando che cosa fosse per me, in ambito commerciale, il marchio Motorola nel 1991, dato che la telefonia cellulare era ancora una roba aliena, per la massa delle persone.

Dal punto di vista sportivo, invece sapevo bene cosa fosse: era la stessa squadra di Andy Hampstein, colui che aveva vinto il Giro d’Italia tre anni prima, spiccando nella mitica tappa del Gavia sotto alla neve. 

Per questo motivo, Andy era il mio ciclista preferito… e lo è tuttora, dato che amo le situazioni invernali. In quegli anni la squadra, pur essendo statunitense, aveva una sua base a Como e si sapeva che i suoi atleti erano usi allenarsi nel Triangolo Lariano. Per cui ci scommetto il lobo di una delle mie orecchie che quel biondo era un professionista statunitense della mitica squadra. Mi passò a una velocità pazzesca, per due motivi: il primo è che era un professionista e il secondo è che non aveva alternative, dato che stava usando rapporti lunghissimi. Non so quanti denti avessero i suoi pignoni, notai soltanto che erano piccoli. Il tipo in questione aveva deciso di affrontare il Muro con rapporti normali…

Sparì alla mia vista alla velocità del suono, mentre io ero costretto a pompare in piedi sui pedali perché altrimenti, da seduto, non riuscivo a salire. Feci una fatica pazzesca ma mi ritrovai un turbocompressore nelle gambe quando, a metà, raggiunsi l’americano che stava salendo a piedi. Non potevo crederci. Aveva i rapporti così lunghi che non era riuscito a fare tutto il muro al ritmo folle a cui l’aveva iniziato.

Aveva iniziato con la stessa veemenza di chi fa una volata su un cavalcavia, solo che quel cavalcavia portava in cima alla Torre Eiffel: 280 m di dislivello.

Arrivai dunque in cima prima di lui, ma non mi sentivo figo. È evidente che il tipo era immensamente più forte di me, ma questa cosa fece capire quanto i rapporti sbagliati, su una bicicletta, possono trasformare in tragedia una gita di piacere o sfalsare i valori in campo.
Nel frattempo, il Muro di Sormano non era stato abbandonato soltanto dal Giro di Lombardia, ma anche dalle automobili. Era una strada stretta e ripidissima che creava problemi, specie quando nevicava.

Per cui, nel frattempo, era stata costruita una strada alternativa (quella in blu), lunga 4,4 km e con una pendenza media del 6,6%. Una passeggiata, rispetto agli 1,8 km al 16,3% del Muro (in rosso).

Visto che mi sentivo in colpa per avere fatto quella salita con la mtb, nel 1992 decisi che un modo degno di rifarla con tale bicicletta fosse partire direttamente in sella da Milano, in giornata, per un totale di 140 km tra andata e ritorno.

Ma fui un deficiente: era febbraio per cui, quando arrivai alla base della salita, la trovai ricoperta da uno strato di neve bello alto. Dovetti ripiegare sulla salita nuova, quella al 6,6%. 

Tornai a farla nel 1996, in notturna e la trovai devastata. Abbandonata dalle gare e dalle auto, la strada era andata in malora. Il fondo asfaltato si era sgretolato e si saliva aggirando enormi buche, cosa non facile viste le pendenze in gioco. Ma il peggio erano gli alberi: c’erano parecchi tronchi caduti di traverso, per cui sembrava un percorso di ciclocross.

A ciascuno la sua cadenza

Ora: è evidente che il ciclismo è una questione di cadenza di pedalata. Il rapporto giusto è quello che ti fa mulinare le gambe ai giri/minuto che ti permettono di avere il massimo rendimento. Quindi, in base al tuo allenamento, hai la tua cadenza e devi quindi scegliere i rapporti che ti servono. Se in salita, con il rapporto più corto, la tua pedalata rallenta sotto al valore ideale, vuol dire che hai sbagliato la trasmissione. Ed è quindi evidente che, negli anni Sessanta, sul Muro tutti quanti usavano rapporti sbagliati. Come mai non pensavano ad accorciarli? Era un tabù? Non era roba da veri uomini? Non c’era la tecnologia adatta a costruire gabbie dei deragliatori più lunghe, che poi risultassero compatibili anche con i rapporti da pianura e discesa?
Una cosa è certa: una volta venivano considerate, come ideali, cadenze di pedalata inferiori a quelle di oggi, per cui si tendeva ad usare rapporti più lunghi. Nel corso degli anni 90 le trasmissioni delle biciclette si sono rimpicciolite, per contenere il peso, iniziando dalle mountain-bike. Su queste s’è passati dal 48-38-28 al 46-36-24 e al 42-32-22, riducendo di conseguenza i diametri dei pignoni posteriori.

Questa moda, che ha finito per influenzare anche il ciclismo su strada, è iniziata con Suntour, ai tempi storica rivale di Shimano. Il suo XC Pro MicroDrive aveva la tripla con corone da 42-32-20 denti.

In discesa, dal 48x14 (rapporto 3,43) s’è passati al 42x11 (3,82); in salita, da 28x32 (0,88) al 22x28 di Shimano (0,79) e il 20x28 di Suntour (0,71). In un eccesso di perversione, arrivai a farmi una trasmissione custom con pezzi Suntour, per avere il 20x32 (0,63!).

Pensavo che 20x32 fosse quanto di più corto si fosse osato montare su una bicicletta, ma sbagliavo: la grande viaggiatrice Renata Andolfi, per affrontare le salite himalayane (quindi ad alta quota, fangose e ripide), ed impossibilitata al fuorisella per problemi alle ginocchia, sulla sua Salsa Fargo ha montato un 22x50, che porta a un rapporto di 0,44.

Anche con il 20x32, tuttavia, superare pendenze del 35% era difficilissimo. Oltre una certa pendenza, accorciare i rapporti alla morte non fa più di tanto (delusione!). Tuttavia, estesi la mania del rapporto cortissimo anche alla bici da strada: sulla mia Chesini montai una trasmissione Shimano De Ore XT, con anteriore da 46-36-24 e posteriore da 12 a 32 denti. Le salite le facevo in generale col 36x24, ma mi piaceva l’idea di avere dei rapporti cortissimi da usare, all’occorrenza. Quando mi ruppi una gamba, stetti tre mesi fermo col gesso e affrontai il Colle del Nivolet (2.612 m) debilitato e senza allenamento, per cui usai il 24x32 per arrivare in cima, perché ero senza energie. Ero scoppiato di colpo verso quota 1.800 m, ma avere montato rapporti così corti mi permise di arrivare in cima, sia pure a passo d’uomo.

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La differenza tra agonismo e cicloturismo è questa: nel primo caso, se scoppi al punto di salire a 4 km/h, torni a casa. Nel secondo, ciò che più ti importa è vedere panorami come questo, per cui la soddisfazione la provi in ogni caso. I due là sotto sono i laghi Agnel e Serrù, visti dal Nivolet.

La malora del Muro ha addolorato alcuni appassionati di ciclismo che, una ventina di anni fa, hanno convinto la Comunità Montana del Triangolo Lariano a intervenire. L'idea era quella di trasformare la strada distrutta in una pista ciclabile (la più ripida del Mondo, di fatto) e il progetto è stato affidato agli architetti Franco Tagliabue e Ida Origgi dello studio If Design. Terminata nel 2006, l’opera è costata 98.000 euro dell’epoca. Oltre alla riasfaltatura, alla chiusura delle buche e alla rimozione dei tronchi sono state messe tante scritte, di cinque generi diversi. Intanto ci sono quelle che segnalano l’altimetria, metro per metro: l’altimetro per vedere quanto manca non serve più! Poi ci sono le classifiche dei migliori tempi dei tre giri di Lombardia corsi negli anni 60 e tre discorsi a commento della salita, due di Gino Bartali e uno di Ercole Baldini. Ci sono anche le indicazioni sulla flora del posto e sulle montagne visibili. La tratta 100% ciclabile è chiusa da sbarre tra quota 880 e 1.110 m.

Nel giro di pochi anni il mito del Muro era rinato, tanto da interessare Daniel Friebe, uno dei migliori giornalisti della rivista Procycling.

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Daniel, insieme al fotografo Pete Goding, ha realizzato un libro-capolavoro dedicato alle più prestigiose arrampicate del Pianeta, edito nel 2010 anche da noi, grazie a Rizzoli. Ed è notevole che, nelle 50 rampe top d'Europa, abbia inserito anche il Muro!

Del Muro e delle sue scritte diceva che, in salita, si andava così piano che si aveva il tempo non solo di leggere tutte le parole, ma anche le virgole. Un passo interessante di quel capitolo è questo: “Le possibilità del Muro di ritornare nel Giro di Lombardia sono, ahimé, alquanto scarse. Numerosi professionisti che hanno affrontato la salita in anni recenti hanno emesso un verdetto unanime: in una gara professionistica essa causerebbe un bagno di sangue. Non sorprende dunque che l’attuale patron del Giro d’Italia e del Lombardia, Angelo Zomegnan, visti i precedenti di Torriani, si sia mostrato dubbioso quando nel 2010 lo interpellarono sulla possibilità d’introdurre il Muro in qualche gara”.

Quindi niente Muro al Lombardia?

Certo, mai più. Solamente due anni dopo l’uscita del libro, infatti, il Muro di Sormano è stato inserito nuovamente nel Giro di Lombardia, in diverse edizioni fino al 2020. Probabilmente deve avere avuto il suo peso l’avvicendamento tra Angelo Zomegnan e Mauro Vegni nel ruolo di patron del Giro. Nel frattempo, i ciclisti si sono fatti furbi ed hanno accorciato i rapporti. Considerato che quelli di oggi sono anche allenati in maniera più professionale, tra fisici più prestanti e rapporti più corti abbiamo le basi per evitare il motivo che ha portato all’abbandono del Muro: le spinte degli spettatori. Oggi, nessun partecipante viene più spinto, ne andrebbe del suo onore.

Steven Kruijswijk al Giro di Lombardia 2019.

Adesso i migliori salgono in 9 minuti, con un record di 8’48” da parte di Thibaut Pinot durante l’edizione del 2018. Nel 2019 girò voce che persino il Giro avrebbe fatto il Muro; in realtà passò dalla strada normale.

L’edizione 2020 del Lombardia ci ha insegnato che non esiste peggio al peggio. Uno potrebbe pensare che, fatto il Muro, la vita sia tutta in discesa, metaforicamente e non solo, nel senso che ormai il più è fatto ma, per Remco Evenepoel, stava per arrivare la salita più tosta.

Scendendo verso il Lago di Como, infatti, è uscito di strada giusto giusto su questo ponte, finendo di sotto, schiacciandosi un polmone e rompendosi il bacino. Come al solito, i medici hanno parlato di carriera finita e di dubbi sulla possibilità che potesse tornare a camminare. 

Due anni dopo, Remco ha vinto la Vuelta di Spagna.

Quello di Pinot è il record di salita al Muro durante il Giro di Lombardia, però la parola record dovrebbe riferirsi a un tentativo di performance assoluta. In questo caso, si tratta di una delle tante ascensioni di quella gara, generalmente la penultima, in cui un ciclista arriva con 170/200 km e migliaia di metri di dislivello nelle gambe, già stanco e non ha, come missione assoluta, fare il miglior tempo lassù, ma interpretare la corsa e gestire le forze in vista del finale. Thibaut è salito con una velocità media di 12,3 km/h (bassissima per una gara di professionisti e questo fa capire la pendenza) ma con una Vam mostruosa, 1.980 m di dislivello all’ora. Più interessante, in questo senso, è la Carica dei 101, il nome della cronoscalata che s’è disputata a partire dal 2007 (quando cioè hanno rimesso a posto la strada), fino a una decina di anni fa. In questo caso, il ciclista parte fresco come una rosa e non deve gestire niente, può salire alla morte, come se non ci fosse un domani. Il record appartiene a Matteo Cappé (da non confondere con il Matteo Cappé di BiciLive, detto Telaio Piegato) con 7’38”, ovvero una velocità media di 14,1 km/h e una Vam di 2.280 m all’ora. Cinque anni dopo, Cappé è stato denunciato dai Nas in quanto presunto acquirente di farmaci dopanti rubati ad un ospedale.

Esiste anche un record di scalata in impennata e spetta a Simone Temperato, che ha impiegato 14’ nel 2009.

Argomento interessante: che rapporti usano i professionisti dei nostri tempi per scalare il Muro di Sormano? Nel 2018, un servizio di GCN ci ha mostrato che oscillavano tra il 39x29 (1,34) e il 36x33 (1,09), quindi rapporti nettamente più corti del 42x26 auspicato da Bartali, o del 39x23 usato da Pantani sul Mortirolo. È interessante notare che, nel 2018, il deragliatore posteriore Shimano Dura Ace non permetteva il montaggio di pignoni oltre una certa misura, per cui è stato necessario montare il meno corsaiolo Shimano Ultegra. Oggi, invece, il Dura Ace elettronico a 12 velocità prevede, tra le varie scelte, una cassetta da 11 a 34 denti che, abbinata alla guarnitura da 50-34, permette il fatidico rapporto 1,00 anche su una specialissima per professionisti. Un tabù sfatato?

Nel frattempo, l'australiano Ben O'Connor si spara una salita usando la corona da 53.

(fine seconda puntata)

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