20K UltraTrail: la sfida più tosta e spettacolare che abbia fatto

Prendi il dislivello del Tor des Géants TOR330, porta la lunghezza a 1.000 km, tra sentieri alpini e strade militari, una bici gravel, autonomia completa (cibo e dormire) e avrai la 20K, una gara massacrante, una montagna russa di emozioni

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20K: un ultratrail nato dalla mente di Andrea Collino mentre partecipava a una Transcontinental. Mettere insieme i più begli sterrati delle Alpi Occidentali per un anello devastante di quasi 1.000 km. Qui sono sull'altopiano della Gardetta, a oltre 2.300 m di quota.

Non basta mai

Dopo la fine del Tor de Géants, che si disputava a piedi, sentivo il bisogno di altri stimoli per nuove gare e nuovi obiettivi e ho scoperto il 20k (www.20k-ultratrail.it), una gara ultracycling di mountain-bike/gravel da correre in completa autonomia: tutto quello di cui hai bisogno (cibo, letto, equipaggiamento vario) o lo porti con te o lo compri durante il percorso. Partenza da Pinerolo il 28 luglio sera, lunghezza 941 km, dislivello in salita 23.650 m, prezzo di iscrizione 200 euro se da soli, 350 euro se in coppia. Per essere considerati "finisher" bisogna arrivare entro le 22 del 4 agosto. C'è un numero chiuso, al massimo possono partecipare 60 persone, quest'anno ne partono 46.

Da subito questa gara mi ha attratto e spaventato: il percorso è micidiale, fantastico paesaggisticamente e con grandi richiami storici, è un viaggio con se stessi e contro se stessi, ti fa vivere una marea di emozioni diverse e, come tutte le altre gare di endurance, ti fa stringere amicizia con persone sconosciute, che condividono con te la pazzia e la fatica.

Fino all'ultimo minuto ho avuto paura di non riuscirci, pensavo di non essere abbastanza allenato, di non essere all'altezza, di non aver provato abbastanza la bici (che avevo assemblato solamente due settimane prima della gara).

Comunque giovedì 27 luglio prendo il treno in direzione di Torino per poi raggiungere in bici la partenza a Pinerolo. Appena salito sulla carrozza mi accorgo di aver con me solamente una borraccia, poco male, penso, ne comprerò un'altra appena arrivato. Attacco la multipresa del telefono e mi si spezza quando mi alzo per cercare una cosa. Che sfiga, speriamo che non continui così. Per fortuna, da Torino in poi tutto prosegue liscio e, arrivato in hotel, preparo la bici, qualche panino per la partenza in notturna e mi riposo.

Il giorno dopo, venerdì, abbiamo appuntamento alle 16 per la consegna dei pacchi gara, il briefing pre partenza e il pasta party insieme agli altri 45 partecipanti. Ogni gara è un'occasione per guardare, studiare e imparare dagli altri, vedere il loro equipaggiamento, il loro setup, la loro mentalità e le loro strategie.

Io utilizzo una gravel dotata di forcella ammortizzata Lauf Grit da 30 mm di escursione, ma c'è chi utilizza mountain-bike biammortizzate da cross country. Ho con me sacco a pelo e materassino, ma niente tenda. 

Dover attendere fino alle 22 è snervante, la tensione è alta e più si avvicina la partenza, più salgono i dubbi, la paura, i finti dolori, le domande. Si diventa ansiosi, l'unica cosa che ci calma è la pasta al sugo, ci sediamo a tavola e ne divoriamo quantità impressionanti. Manca sempre meno, saliamo in sella, ci dirigiamo verso la linea di partenza... e via!

Alle 22 del 28 luglio, quindi, partiamo, sfilando per le vie del centro di Pinerolo. A destra vediamo Federico Bassis, che arriverà secondo assoluto, mezz'ora prima del due agosto. 

Penso di mollare, poi però...

In poco tempo mi ritrovo in quinta posizione, faccio la prima salita a fuoco (un ferro di cavallo a nord di Pinerolo), ho paura di bruciarmi, provo ad accendere la torcia da bici ma non funziona, impreco, riprovo, ancora niente, scollego tutti i cavi e li ricollego, ancora niente. Scivolo per terra perché non faccio attenzione alla ghiaia durante una curva, mi rialzo, niente di grave, ma la luce non funziona, accendo la frontale Suprabeam al minimo per paura che la batteria non duri abbastanza. Per fortuna che un altro Alessandro, Truffo, mi fa luce, i km passano veloci, siamo sempre in quarta e quinta posizione e così passiamo insieme tutta la prima notte, all'alba siamo nelle Langhe, sulle colline del Barolo, fa capolino un po' di stanchezza e la voglia di caffè è alta, cerco un bar, non lo trovo, inizio ad andare un po' in crisi, dico al mio compagno di proseguire. A bordo strada trovo un pesco con dei fantastici frutti belli succosi, ne stacco tre, mi siedo e ne mangio uno, mi ridà un po' di carica in vista della prima vera salita, quella per Bossolasco (CN, 757 m), la testa gira un po' a vuoto ma proseguo, prima discesa, la fame è tanta, sono le tredici e non ho fatto colazione, a Millesimo abbiamo superato i primi 200 km e mi fermo al mercato, mi faccio fare un panino con la bresaola e bevo una Lemonsoda. Il panino è stopposo e non va giù, non fa bene al morale e la testa non si riprende.

Da qui fino alla sera sarà un susseguirsi di saliscendi sull'estremità orientale delle Alpi Liguri, la testa non ne vuole sapere, non sono motivato, ho perso lo stimolo, il morale è bassissimo, faccio una fatica bestia.

Qui sono nel momento peggiore, sui monti sopra Finale Ligure, non lontano dalla Base Nato. La nebbia non aiuta a stare su di morale.

Su una rampa sterrata mi fermo, mi addormento 15 minuti, arriva un ragazzo, il più giovane iscritto alla gara. Non posso farmi superare, mi rialzo e proseguiamo insieme. Anche lui inizia ad avere delle crisi, il motore gira poco, la spossatezza si fa sentire dopo 17 ore di gara e 250 km. Decidiamo di fermarci a Garessio per la notte (il regolamento obbliga a dormire almeno quattro ore ogni 24), riposare e rifocillarci, trovo un B&B molto simpatico, lo Sportinghouse, i gestori ci accolgono subito, ci offrono la cena e pure il lavaggio delle bici, però il mio amico decide di ritirarsi senza nemmeno provare a riposarsi, io mangio e vado a dormire.

La sveglia suona troppo presto, sono le 3 e fuori è buio, mi sveglio, penso di aver dormito bene, mi vesto e parto, i primi quindici km di salita, sul fondovalle del fiume Tanaro, sono sorprendentemente massacranti, un su e giù sterrato con rampe improponibili che sono costretto a fare a piedi. Inizio la cresta per il Colle di San Bernardo di Mendatica (1.263 m) e non manca molto al primo controllo di passaggio (Cp1) al 326° km del Rifugio Sanremo (2.054 m) ma, poco dopo, mi fermo, scendo dalla bici, sono piantato, mi metto a piangere, dopo quindici minuti decido di scendere qualche km fino ad una chiesetta per riposarmi, stoppo il Garmin, tiro fuori il sacco a pelo e dormo per un'ora.

Mi sveglio e, in coma, chiamo mia mamma, voglio abbandonare. Scrivo all'organizzatore che sto mollando, mi riporta con i piedi per terra, mi sprona a continuare, guardo i messaggi dei miei amici su Instagram e riprendo coraggio, chiudo il sacco a pelo, mangio una fetta di crostata e riparto con una nuova forza. Ritrovo le gambe, la musica in cuffia aiuta e, finalmente, il paesaggio ripaga della fatica fatta, la testa torna ad aiutarmi, da adesso in poi bisognerà solamente spingere, mangiare e riposarsi per difendere l'ottava posizione. Anzi, acciuffare la settima: davanti a me intravedo un concorrente, voglio raggiungerlo.

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Il primo controllo di passaggio è qui, al Rifugio Sanremo, il più alto della Liguria (2.054 m). Scopro che quello che mi precede ha un vantaggio di dieci minuti, così proseguo, mi fermo al rifugio La Terza, eccolo: è seduto a mangiare un pezzo di pizza, faccio come lui e iniziamo a parlare. Si chiama Andrea Barberi, è simpatico, ha una mtb biammortizzata. decidiamo di affrontare la Via del Sale insieme.

La Via del Sale, la famosa strada militare che corre tra Liguria, Piemonte e Francia, ci esalta con paesaggi mozzafiato, ma il fondo è sconnesso e polveroso, ci sono troppe jeep e moto che ci passano in entrambe le direzioni ma, comunque, proseguiamo veloci verso il rifugio Don Barbera, dove ci rifocilliamo con un grosso piatto di pasta al pesto.

Qui veniamo raggiunti da un altro corridore, Davide Cicerale: noi ripartiamo, lui rimane fermo un po' di più. Viaggiare con Andrea mi dà forza, ci facciamo coraggio a vicenda.

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Via del Sale. Ambiente lunare dopo il Colle dei Signori, intorno ai 2.100 m di quota.

Arriviamo a Limone Piemonte, diamo una lavata veloce alla catena, mangiamo una barretta e ripartiamo. All'attacco dell'ultima salita di giornata (Madonna del Colletto, 1.305 m) ci fermiamo a prendere un gelato, Daniele ci raggiunge di nuovo, iniziamo la salita insieme e discutiamo sul dove dormire. Vedo che Andrea è stanco, ma non lo ammette, chiedo a Daniele se possiamo dividere la camera che aveva prenotato e dormire su un vero letto, i due accettano.

A cena divoriamo un bel piatto di spaghetti al ragù e una birra che va giù come acqua e, poi... via a nanna.

La salita dell'altopiano della Gardetta, la più bella

La nostra sveglia suona alle 5, Daniele continua a dormire, io e Andrea partiamo, sarà una lunga giornata con il Passo della Cavalla, il più duro della gara. Ma prima ci tocca l'interminabile salita all'altopiano della Gardetta, che affrontiamo da Pietraporzio, all'alba, dopo esserci fermati a fare una grossa colazione in un hotel. Iniziamo su asfalto e proseguiamo poco dopo su strada carrabile sterrata, le pendenze non sono mai estreme e il fondo è abbastanza regolare, più saliamo e più il panorama diventa bello, dopo il Colle di Salsas Blancias (2.455 m) ci si apre davanti una vallata con montagne rocciose che sovrastano grandi prati verdi, davvero magnifico, è sicuramente la salita più bella di questa gara, tutta pedalabile, mai impossibile e la discesa su Ponte Marmora è da togliere il fiato. Mi innamoro sempre di più delle montagne, ogni volta riescono a farti restare a bocca aperta, questa è la ricompensa che voglio dopo la fatica.

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La salita alla Salsas Blancias (2.455 m), una delle più panoramiche del giro.

La discesa dal Gardetta, dicevamo, è spettacolare, una serie infinita di tornanti prima sterrati e poi con un ottimo fondo asfaltato, perfetti per impostare delle magnifiche curve pennellate. Perdiamo rapidamente quota e, in pochi chilometri, maciniamo più di 1.500 m di discesa. Arrivati a Ponte Marmora compriamo qualcosa da mangiare nell'unico supermercato che troviamo aperto. Appena ripartiamo il caldo ci toglie il fiato, ad ogni fontanella facciamo il pieno di acqua e, arrivati alle sorgenti del Maira, decido di farmi un bagno rinfrescante nel fiume, nella freschezza dell'acqua dei 1.623 m, anche per festeggiare i primi 500 km della traversata. Da qui inizia la lunghissima salita fino al Passo della Cavalla (2.539 m), prima su strada militare dissestata e poi su sentiero alpino, con circa un'ora e mezza di portage, davvero massacrante. In più punti pensiamo di essere arrivati in cima ma, come spesso accade, girato l'angolo, il sentiero continua imperterrito a salire. L'ultima rampa è da bici in spalla con grossi blocchi di roccia da arrampicare, davvero cicloalpinismo.

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Dopo 500 km belli dissestati, non si vedeva l'ora di farsi un'ora e mezzo con la bici in spalla, per di più bagagliata. E, nel caso di Andrea, biammortizzata...

La discesa "vera" inizia soltanto dopo il Col de la Gipière de l'Orrenaye (2.482 m) ed è un fantastico single track, a tratti impraticabile con una gravel carica, che ci porta fino al Cp2, il Rifugio della Pace, sulla strada del Colle della Maddalena: siamo al km 525, abbiamo superato da un pezzo la metà strada... ma non la metà dislivello. Mangiamo un panino al volo e poi ci dirigiamo verso Les Condamines, dove ci rifocilliamo per bene con una bella bistecca e patate al forno prima di attaccare il Col du Parpaillon di notte.

La cena la divido sempre con Andrea.

Già dalle prime curve del Parpaillon la salita si fa impegnativa, è ripida e la stanchezza inizia ad arrivare, il sole tramonta dietro di noi e accendiamo le frontali. Il primo pezzo nel bosco è molto buio e umido ma, appena fuori, la luna piena sporge da dietro le montagne e ci illumina alla perfezione, permettendoci di continuare la salita con le torce spente.

Anche questa è interminabile, le pendenze non sono mai eccessive ma i chilometri non diminuiscono mai.

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Arriviamo alla galleria sommitale a mezzanotte: è un luogo da incubo, un tunnel militare scavato nella roccia, lungo 500 m, a quota 2.640 m. Ci copriamo con tutto quello che abbiamo nello zaino e attacchiamo la discesa: per fortuna il fondo è regolare, scorrevole e senza troppi sassi. Da qui, ogni posto è buono per dormire. 

Sassi e visioni spettacolari

La mattina ci svegliamo ai primi raggi del sole, non ha fatto troppo freddo e il materassino era comodo, ho recuperato bene le energie, mancherebbe solamente un bel caffè.

Ci dirigiamo verso il Col de Valbelle (2.372 m), una lunga e ripida salita completamente sterrata che finisce sulle piste da sci. Mentre saliamo, l'app del 20K ci dice che il tedesco Max Gaumnitz sta tagliando il traguardo, 360 km avanti a noi. La scalata non dà tregua, arriviamo alla prima fontana stremati e senza energie, aver saltato la colazione si fa sentire, per fortuna troviamo un albero con delle albicocche che ci daranno un po' di carica. Quasi a metà salita, ci troviamo di fronte a 5 km di falsopiano in salita, i peggiori, pensi di poter andare forte e macinare un po' di terreno, ma niente, sei inchiodato e avanzi lentamente. Arrivati in cima si alza un vento gelido, ci copriamo e attacchiamo la discesa. Nella parte alta avevamo preso un bel flow che seguiva le piste da sci fino ad arrivare alla base delle seggiovie. Da lì fino alla città di Guillestre il sentiero è diventato completamente sassoso e massacrante per le braccia, un vero incubo su cui guidare una gravel carica dopo oramai 600 km di gara.

Giunti in città ci fiondiamo in un ristorante e ci facciamo servire due mega hamburger con patatine fritte e un bel gelato, per rinfrescarci un po' le idee.

Subito dopo pranzo affrontiamo la salita per souliers ed il Lac de Roue, superando quota 1.920 m, quindi planiamo sulla strada del Colle dell'Izoard (2.360 m), una salita mitica del Tour de France che noi percorreremo solo per qualcuno dei chilometri iniziali prima di girare a sinistra e puntare all'altro versante con un valico alternativo e più alto: l'Ayes (2.477 m), salendo da una bella strada sterrata su cui incroceremo una carovana di Renault 4 in modalità rally, un vero spettacolo di colori e stili diversi.

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Un piccolo paese attraversato prima di prendere la sterrata per l'Ayes.

È ormai l'ora di cena, timbriamo il foglio e ci rechiamo verso la zona dei ristoranti, di fronte alla città vecchia. Ci rifocilliamo con una grossa tartare di carne e un enorme piatto di patatine fritte e maionese, con l'idea di ripartire subito dopo per attaccare i Monti della Luna ma, dopo cena, ci rendiamo però conto che è meglio riposare un po' in vista delle "ultime" fatiche della gara. Ci mancano ancora 9.000 metri di dislivello e poco più di 300 km. Quindi cerchiamo un hotel, ci facciamo una bella doccia calda e andiamo a nanna per qualche ora.

La salita più bella

La mattina la colazione sarà bella copiosa e rigenerante, con due enormi tazze di caffè. Da italiano non ho mai apprezzato così tanto il caffè quasi annacquato delle macchinette degli hotel francesi!

La luna piena ci dà il buon giorno e, piano piano, lascia spazio al timido sole, che riscalda dolcemente la vallata.

Dalle prime rampe di salita Andrea è in difficoltà, io cerco di aspettarlo ma, ogni volta che mi giro indietro, non lo vedo, mi fermo, mi dice che sente molto dolore a un ginocchio e mi incita a proseguire da solo, per non rallentarmi. Io sto bene, le gambe girano come dovrebbero e accetto, provo a dare una sgasata per recuperare il ragazzo che è davanti a me. Con Andrea ho viaggiato dall'inizio della Via del Sale fino a qui, per 360 km.

La salita per la Sommet des Agnes (2.405 m) è super divertente, le prime rampe sterrate danno spazio a una strada militare asfaltata che sale a tornanti in un fantastico boschetto a picco sulla valle. 

È la salita che mi piace di più durante tutta la gara, fatta in solitaria, senza musica, ascoltando solamente i miei pensieri, con le gambe che girano bene e lo spirito contento, la testa libera e leggera che già assapora l’arrivo che mi sembrava vicino anche se lontano.

Arrivo in cima al passo, di fianco ad una quantità smisurata di forti e strutture belliche tipiche delle montagne di Briançon. Da qui inizierà un super single track tutto da guidare, che passa attraverso un paesaggio quasi lunare, con tratti di discesa intervallati ad altri più pianeggianti, in cui bisogna far scorrere la bicicletta. Alcune rampe, se prese con la giusta velocità, si riescono a percorrere quasi senza pedalare, il terreno è in alcuni punti roccioso e in altri si fa largo nei mughi e nell'erba bassa, senza parti troppo esposte o pendenze estreme ma sempre divertente e rilassante, fino ad iniziare la vera e propria discesa a zig zag molto scorrevole, lungo le piste da sci del Colle Bercia (2.250 m) verso Claviere e il Passo del Monginevro.

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Giunto nella vallata, la traccia prosegue nel fondovalle seguendo il corso del Clarée per una ventina di chilometri fino a Roubion, in cui mi fermo a consumare un pranzo veloce, un panino e una fetta di torta ai mirtilli, prima di attaccare la corta ma ripida salita del Col des Thures (2.194 m)

Perdo rapidamente quota e, in pochi chilometri, arrivo a Bardonecchia: da qui mancano "solamente" 180 km, 6.000 metri di dislivello e due grosse salite, ormai è fatta. Decido di non fermarmi a far rifornimento di cibo in città, ma di proseguire direttamente, sperando di riuscire a riacciuffare i due davanti a me, purtroppo invano.

Il primo pezzo di salita è quello per il Col de Sommeiller, su una strada sterrata costruita apposta per raggiungere una piccola stazione di sci estivo, a quota 2.991 m, oggi disattivata a causa dello scioglimento del ghiacciaio.

Ma il percorso segue questa strada soltanto fino alla bellissima diga di Rochemolles (1.974 m), in cui mi farò un altro bagno rinfrescante, viste le temperature molto elevate di queste giornate e ne approfitterò per mangiare un altro dei panini che mi sono portato dietro.

La strada dell'Assietta, dove è nato tutto

Dal lago si abbandona la salita per il Sommeiller e si prende la vecchia decauville, cioè la ferrovia quasi pianeggiante usata durante i lavori di costruzione della diga per trasportare il cemento dai Bacini di Bardonecchia (oggi non ci sono più le rotaie ed è una strada sterrata).

Percorriamo quindi le pendici del Monte Jafferau, passando per il Forte Föens (2.162 m) e affrontando la famosa galleria del Siguret, meglio nota come dei Saraceni che, essendo lunga ben 500 m e in curva, è completamente buia, in più proprio in mezzo c'è una sorta di "salone" pieno d'acqua

Provo ad accendere la frontale, ma niente, non vuole, cambio batteria e ancora niente, le provo tutte, non riesco a trovare una soluzione, quindi un po' sconfortato prendo la lucina posteriore rossa e mi addentro nella buia galleria. A metà vedo che inizia ad esserci un po' di acqua e, non vedendo bene mi fermo, mi guardo indietro e, per fortuna, stava arrivando un pickup. Prendo la lampada e inizio a fare dei segnali a intermittenza, mi si avvicina, si ferma e capisce che ho dei problemi, gentilmente si offre di mettersi dietro di me e illuminarmi la strada. Da qui la discesa prosegue su una sterrata completamente dissestata e distrutta dal passaggio di fuoristrada: tutti i sassi sono instabili e viscidi. Mi attendono 1.500 m di dislivello di massacro per braccia, mani e collo.

Arrivato a valle, a Salbertrand, cerco un posto per mangiare, ma l'unico posto aperto è il campeggio, 2 km fuori traccia, per fortuna sulla strada principale.

 Anche se sono molto puzzolente e stanco mi accolgono gentilmente, lascio la bici in vista, metto a caricare telefono e torcia sperando che si riprenda e mi siedo a mangiare una bella pizza e un tiramisù. 

Finita la cena, guardo l'orologio, sono le 18.30, riparto immediatamente e attacco l'ultima grande salita della gara, in direzione della Strada dell'Assietta. I primi 1.000 m di dislivello, quelli in direzione del Col Basset (2.424 m) passano via veloci su una carrabile nel bosco, digerisco in fretta e mi dimentico di riempire le borracce, più salgo più l'aria diventa frizzante, il sole tramonta all'orizzonte e il cielo diventa scuro; senza torcia sono obbligato a fermarmi da qualche parte. Incrocio due vecchietti che mi dicono che poco più su c'è un paesino con alcune tettoie, salgo un pezzo, vedo la chiesa, è chiusa e diroccata, non mi ispira. Proseguo ancora un po', vedo una vecchia malga abbandonata ma ben tenuta, la finestra del secondo piano è aperta, mi arrampico per vedere com'è dentro, è un po' impolverato ma accogliente, lego la bici, prendo il materiale e salgo, metto giù il materassino e il sacco a pelo e mi addormento di colpo, fino alle 5 quando i primi raggi di sole illuminano la stanza, impacchetto tutte le mie cose, mi affaccio alla finestra e vedo fuori una luce che sale, è Andrea Barberi, mi guarda e si mette a ridere, ma poi si congratula per il bel posticino in cui ho passato la notte, a lui è andata peggio, sotto un albero.

L'alba sorge verso il Colle Basset.

Anche questa mattina niente colazione e niente caffè, purtroppo niente fontane, ho con me solo mezzo litro di acqua e non so quando ne troverò ancora, bisogna razionare. Andrea non riesce a tenere il mio passo e ci salutiamo di nuovo, io proseguo spedito verso la fine della salita.

Giungo sul Basset che albeggia, ma il vento soffia forte e non dà tregua, mi vesto e inizio la breve discesa che, poco dopo, lascerà spazio ad un susseguirsi di mangia e bevi interminabili e spacca gambe. Senza acqua né cibo in corpo comincio a risentirne.

(Nota della redazione: Alessandro s'è illuso di avere finito la salita, ma è soltanto all'inizio della parte in quota della Strada dell'Assietta, una sterrata militare che, per ben 18 km, fluttua tra i 2.200 e i 2.530 m, con salite ripide e sassose. Se non la conosci e pensi di dover affrontare una discesa, un tratto così ti uccide psicologicamente. Ma questa strada è di una bellezza unica ed è il motivo per cui la 20K esiste: il suo organizzatore, il piemontese Andrea Collino, nel 2015 portò a termine la Transcontinental Race dal Belgio alla Turchia, che passava per la Strada dell'Assietta. I concorrenti dissero che quella era stata la parte più bella. Così Andrea, che più che Collino dovrebbe chiamarsi Montagno, ebbe l'idea di organizzare questa ultratrail, in cui 20K starebbe per 20.000 m di dislivello in salita, anche se poi si sfiorano i 24.000...).

Gli ultimi, interminabili, tornanti

Verso la fine di questo tratto incontro il rifugio Casa Assietta (2.527 m), mi avvicino sperando che sia aperto e invece no, è tutto chiuso, nessun segno di vita, non mi resta altro che scendere. Poco dopo c'è il Colle dell'Assietta (2.472 m) e poi c'è la sassosissima discesa di 9 km fino al Pian dell'Alpe, 1.900 m. Da qui ci sarà solamente un'altra salita, asfaltata, verso il Colle delle Finestre (2.176 m) e poi la discesa sterrata per la Val di Susa. Prima dell'ultima rampa fortunatamente trovo un bar, mi ci fiondo, ordino caffè, torta e succo di mirtilli, ne approfitto per cambiarmi e rinfrescarmi un po' e per gonfiare le gomme.

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La colazione mi dà la giusta carica, la salita finale su asfalto passa veloce e, in poco tempo, farò l'ultima foto "di vetta": è l'ultima montagna del 20K, c'è da festeggiare. Assaporo la discesa e la birra all'arrivo.

Salgono moltissime moto e qualche bicicletta, sono l'unico che scende. In un rettilineo una moto ne supera un'altra e per poco non mi prende in pieno, che panico, rallento un po', mi riprendo e continuo a guidare la mia bicicletta.

Alla fine della discesa mancano meno di 60 km all'arrivo. La strada risale un pochino e si addentra in una foresta, dove incontrerò un bel sentiero con qualche saltino che mi godo in pieno ma, subito dopo, l'euforia svanisce: il sentiero cambia aspetto e si trasforma in un groviglio di rami, erba alta e sassi, diventa quasi impossibile vedere la traccia, la velocità scende e la concentrazione sale. Per fortuna, a 50 km dalla fine, la traccia devia su una ciclabile che corre su asfalto, ho ancora le gambe per andare forte, voglio solamente arrivare, mi metto in presa bassa e inizio a macinare km a circa 27 km/h di crociera, ogni tanto guardo il Garmin, i chilometri sembrano non diminuire mai, ma avanzo veloce, anche se mi sembra di essere in un loop e di non poter arrivare alla fine.

A 15 chilometri dalla fine il cambio non funziona più, ho scaricato la batteria, guardo su che rapporto sono, poco male, ho il 17, posso spingerlo fino all'arrivo, non mi fermo per cercare l'altra batteria, non voglio arrivare in ritardo per la birra.

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Bene, ce l'ho fatta entro il tempo massimo, sono un finisher!

Mi sono piazzato ottavo, ma nella classifica ufficiale figuro settimo perché ci sono due persone indicate al secondo posto, pur avendo tempi diversi. Sono arrivato alle 14 del 3 agosto, 32 ore prima dello scadere del tempo massimo. Il vincitore, il tedesco Max Gaumnitz, lo ha fatto alle 7 di mattina del primo del mese, quando io e Andrea stavamo attaccando il Valbelle e ci mancavano ancora 360 km. Ha staccato di 16 ore il secondo, Federico Bassis. Quarto si piazza Alessandro Truffo, il ragazzo che mi aveva fatto luce durante la prima notte, nelle Langhe.

Due ore dopo di me arriva il mio nuovo amico, Andrea Barberi, nono classificato. Alle tre di notte del 4 agosto, quattordicesimo, arriva l'altro nostro compagno di viaggio, sia pure per poco: Davide Cicerale.

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