Ora ti senti più un ciclista di strada o gravel?
“Nasco stradista, quindi il richiamo della strada ogni tanto mi viene, ma il divertimento che provo facendo gravel e negli eventi gravel, nelle gare su strada non c’è. Tutte le persone che ho conosciuto in questi anni, le ho conosciute nel mondo degli eventi gravel”.
Spiegati meglio, cambia proprio l’atmosfera?
“Alle gare su strada tu vai, corri e vieni via, la maggior parte delle volte è così. Non c’è un momento dove si è tutti insieme a parlarsi e scambiarsi idee. Ad una gara come la Nova Eroica invece arrivi il giorno prima, pranzi insieme, il giorno dopo fai la gara e dopo la gara resti lì: ti viene proprio spontaneo restare lì e stare insieme. È quello il valore aggiunto: c’è molta più condivisione. Il Bam è un altro evento che se me lo avessero chiesto cinque anni fa di andarci, non sarei mai andato. Mi sono dovuto ricredere. Sono due giorni in cui incontri qualsiasi tipo di persona, dall’agonista come posso essere io a quello che si fa i viaggi a 15 km all’ora, da quello che arriva con la bici da città a chi arriva a piedi perché ha sentito che il Bam è un raduno. Trovi qualsiasi cosa, ed è bello. Perché il ciclismo non è fatto solo dalle gare che vediamo alla tv. In quegli eventi trovi moltissima gente che non ha mai guardato una gara, magari non sanno nemmeno chi ha vinto il Tour. Per me che vengo da quel mondo, sembra assurdo; eppure, c’è talmente tanta gente che, pur amando la bici, non segue il professionismo. Da quando ho smesso di correre da professionista ho iniziato a vivere davvero la bici, in tutte le sue sfaccettature. Ma è chiaro che la vena agonistica che ho dentro non la potrò mai sopprimere, viene fuori”.
Da quello che hai detto sembra che il fenomeno gravel non sia una moda passeggera, cosa ne pensi?
“Secondo me sta succedendo quello che è successo con la mountain bike. All’inizio alcuni marchi non ci hanno creduto, pensando fosse un fenomeno temporaneo, invece no. Sarà così per il gravel, anche per il fattore sicurezza di cui parlavo prima. Quando esco attorno a casa per andare verso le salite, faccio un chilometro di strada asfaltata e per il resto me ne vado fuoristrada, dove non ho il pensiero delle macchine: non è una cosa banale. La gente si metterà a scoprire sempre più percorsi anche nelle proprie zone: banalmente anche io ho scoperto le strade sterrate grazie all’app Komoot, cominciando a buttare giù delle tracce a caso. Le prime volte sbagli, ma poi impari, adesso riesco a farmi uscite completamente su sterrato. Ormai abbiamo davvero tutti gli strumenti per conoscere nuovi posti e stare in sicurezza”.
A proposito di sicurezza, cosa ti porti dietro di fondamentale durante le gare adventure come l’Atlas o l’Italy Divide?
“È molto soggettivo, ci sono alcuni oggetti fondamentali che bisogna avere, come la coperta termica, o il bivybag in certe circostanze. Se becchi un temporale in zone remote, ti metti dentro al bivy e in qualche modo ti salvi. Una giacca antipioggia, sempre. Le salviettine deumidificate. Camere d’aria di scorta ovviamene (io sono abbastanza esagerato, me ne porto sempre tre, perché ho la fobia). Una camera d’aria in più mi fa stare tranquillo: dico sempre, se c’è una cosa che ti fa stare tranquillo, anche se è in più e prende posto, portala. All’Italy Divide il piumino avrei potuto lasciarlo a casa, però mi faceva stare tranquillo. Lo metto praticamente sempre, anche se so che la temperatura minima è 20 gradi. Di solito nella borsa dietro ci sta il piumino, una maglia in lana (perché la lana non ti fa sudare anche quando fa caldo). Una giacca antipioggia tipo il Fiandre di Sportful e poi la mantellina (sia per le discese se c’è aria, sia se piove). Nella parte anteriore, attaccato al manubrio, all’Italy Divide avevo solo il bivy, mentre all’Atlas mi ero portato anche il sacco a pelo e il materassino. Quindi davanti c’è la parte notte per quando ti fermi, e deve essere tutto impermeabile. Altra cosa che non ho mai portato, ma che inizierò a portare è il cuscino, quello gonfiabile, piccolissimo. All’Atlas avevo portato il ricambio, ma è totalmente inutile perché tu sei sempre sporco e in dieci minuti, anche se ti cambi, sei come prima”.
Un’altra domanda che ti faranno sempre è quanto ti fermi a dormire? Raccontaci la tua strategia.
“All’Italy Divide ho tirato dritto la prima notte, poi ho pedalato tutto il giorno successivo e mi sono fermato più o meno alle dieci di sera e ho dormito tre ore. Anche la notte dopo ho dormito tre ore. Poi alle 22 del terzo giorno sono arrivato. Sto attento ai cicli del sonno, che sono di circa 90 minuti, in modo da non sprecare tempo prezioso. Quando posso cerco di dormire in agriturismi o B&B. Mentre in gare come l’Atlas non è possibile”.
Per mangiare invece come ti regoli?
“All’Italy Divide ho imparato molte cose. Quando sei fresco puoi mangiare qualsiasi cosa e non hai problemi. Ma quando poi sei stanco, pedalare con il cibo sullo stomaco può diventare problematico. Un giorno avevo una fame pazzesca e ho mangiato due panini enormi con tipo mezzo chilo di mozzarella dentro, più cinque o sei palline di gelato. E sono partito: ho fatto un’ora e mezza che non andavo proprio avanti, tra l’altro con una salita bella dura. Per fortuna poi mi sono ripreso. Il secondo giorno alla sera ho mangiato due pizze e alla mattina sono partito bene senza problemi. Arrivato a un ostello ho fatto una colazione che valeva per tre e anche lì l’ho un po’ pagata quando sono ripartito. Devi essere bravo a scegliere il posto giusto. Quando è caldo vanno benissimo i gelati. Mi porto comunque anche del cibo di sicurezza, tipo barrette, anche se non le amo molto. L’ultimo giorno a mezzogiorno avevo mangiato un gelato, poi non ho mangiato nulla fino a sera, lì le barrette mi hanno aiutato. All’Atlas avevo sempre un panino di scorta, ma una sera non eravamo riusciti a trovare niente e la barretta ci ha permesso di fare colazione la mattina dopo. Sull’alimentazione, ogni volta impari qualcosa e aggiusti il tiro”.