Alessandro Ballan, tra ricordi recenti e progetti futuri

In una coinvolgente serata da Bicimania di Lissone, il campione veneto ha incontrato appassionati e tifosi con cui ha ripercorso i momenti salienti della sua carriera. E domani super serata con Vincenzo Nibali.

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Luca Della Porta e Alessandro Ballan

Un ciclo di incontri in cui svelare le piccole storie che si nascondono dietro le grandi pagine dello sport: è l’obiettivo delle serate “A tu per tu con i grandi dello sport”, che la catena di negozi sportivi DF Sport Specialist propone reiteratamente per raccontare al grande pubblico - dalla voce dei diretti interessati - il lato più umano e autentico dei grandi campioni che ci incollano alla televisione con le loro imprese sportive.

Si tratta di incontri nei vari negozi, che non riguardano solo il ciclismo ma abbracciano lo sport vissuto a 360°, come nel DNA della Catena di patron Sergio Longoni (dopo Ballan, ad esempio, nel negozio DF Sport Specialist di Bevera di Sirtori, è stata la volta di Fausto De Stefani, il sesto uomo al mondo ad aver scalato tutti i quattordici ottomila in stile alpino). Non solo ciclismo, ma tanto ciclismo: così, dopo la serata con Filippo Ganna, e quella che si preannuncia assai interessante con Vincenzo Nibali martedì 9 maggio, gli appassionati del pedale hanno incontrato Alessandro Ballan nel negozio proprietario Bicimania di Lissone (MB) per una serata “a ruota libera” in cui il campione veneto ha condiviso aneddoti e confidenze della sua carriera, dialogando serenamente con lo speaker sportivo Luca Della Porta.

La vittoria di Varese

La serata si è aperta (non poteva essere diversamente) rivivendo le emozioni del successo più grande di Ballan, che poi è il maggior successo possibile per ogni ciclista professionista, cioè il Campionato del Mondo. Quello scatto rabbioso ai - 3 di Varese 2008, che lo fasciò con la maglia iridata e, da allora in poi, lo rese famoso come l’ultimo (al momento) italiano ad aver vinto il Mondiale.

«È la giornata che mi ha cambiato la vita», ha raccontato Ballan, «perché da allora tutti mi associano a quella vittoria. Però, arrivare a quel titolo non è stato assolutamente facile e solo una volta tagliato il traguardo tutti i sacrifici fatti hanno avuto un senso». Sacrifici che gli appassionati nemmeno immaginano. «Fare il corridore significa solo allenamento, alimentazione e recupero: tutto il resto è vietato, ogni movimento che non sia la pedalata è precluso. Così, io non ho mai potuto giocare a nascondino in giardino con le mie bimbe, solo per fare un esempio. O accompagnare mia moglie a far la spesa. O prendere un aperitivo con gli amici. La vita del ciclista è una vita di rinunce continue».

In sella a otto anni

Già, ma come è cominciata l’avventura in bici di Ballan? «Un po’ per caso», ha ammesso il campione veneto. «A otto anni, mio fratello ricevette in dono una bici e io ne chiesi una per me. Ma eravamo una famiglia semplice, senza la possibilità di acquistare una seconda bici. Così mio padre mi rifilò una vecchia biciclettina che avevamo dimenticato in cantina, tanto era brutta e scassata. Brutta, ma “da corsa”, con il manubrio ricurvo e il cambio. L’abbiamo fatta sistemare - l’ho voluta far ridipingere di rosso - e, una volta messa a posto, è venuta fuori veramente una bella bici, che ho cominciato a usare per andare a scuola. A me piaceva perché era la più veloce di tutti e quando facevo le gare con i miei compagni, non c’era storia: vincevo qualsiasi volata».

Dal gioco con i compagni al tesseramento nella squadra del paese, tra i giovanissimi dell’UC Giorgione di Castelfranco Veneto. E poi il lento iter nel vivaio - esordienti, allievi, juniores - in anni a volte difficili. «Ho perso mio papà quando avevo 16 anni e per tre anni mentre frequentavo la scuola, correvo in bici e mandavo avanti l’azienda di casa insieme a mio fratello e a mamma. Sono stati veramente tre anni duri, che si sono risolti grazie a una squadra dilettantistica della zona che, venuta a conoscenza della mia storia familiare, mi ha dato la possibilità di fare solamente il corridore. Ma ero stipendiato per dieci mesi all’anno, per cui d’inverno andavo a lavorare: un anno come muratore, un altro anno come idraulico... quando la Lampre mi ha chiamato per passare professionista ero su una scala intento a nastrare una finestra, perché avevo cominciato a fare l’imbianchino».

Alessandro Ballan, Sergio Longoni e Luca Della Porta

Uomo del Nord

Ballan sarà anche l’ultimo (al momento) italiano ad aver vinto il Campionato del Mondo, ma è stato anche uomo da campagna del Nord, Fiandre (che vince nel 2007) e Roubaix (tre volte terzo) su tutte. In molti ricordiamo quell’arrivo da brivido alla Ronde, con Leif Hoste saltato proprio all’ultimo metro; ma in pochi sappiamo come nacque quel successo sui Muro dei Muri, il Grammont. «Durante la notte ero parecchio teso e ho riposato molto male: avrò dormito sì e no un’ora e mezzo. Poi, in gara, per i primi 250 chilometri ho veramente sofferto, tant’è che quando è partito Fabian Cancellara ho detto ai miei compagni di non inseguire e stare a ruota, perché non stavo affatto bene. Ma Fabio Baldato non ne volle sapere: “Siamo qui in sei”, mi disse, “è inutile che stiamo a ruota, tanto sul Grammont ci stacchiamo lo stesso. Andiamo davanti a tirare, riprendiamo Cancellara e poi vada come vada”.

In macchina, come Direttore Sportivo, avevamo Guido Bontempi che, appena vista la scena, pensando fossi stato io a dare l’incarico di chiudere, si infuriò con me, dal momento che, visto il ruolo, avrebbe dovuto essere solo lui a stabilire la strategia di gara. Così, ripresi i fuggitivi, sul Grammont decisi di fare uno scatto poco convinto, tanto per farmi vedere e giustificare l’inseguimento effettuato in precedenza. Ho saltato Tom Boonen, scollinando da solo. “Io non sto bene”, ho pensato, “ma gli altri stanno peggio”. Ho aspettato Hoste e siamo andato all’arrivo. Lui ha fatto una volata corta e quando ai 150 metri me ne ha presi tre di vantaggio, me la sono vista veramente brutta».

Il passaggio alla BMC

E poi via, senza freni nel ripercorrere il prosieguo della carriera, con un virus maligno che gli blocca metà del 2009 (quell’anno rientrerà solo al Tour de France) e l’esperienza nella neonata BMC Racing Team, con le mille incognite dell’inizio. «Non era una squadra World Tour, ma un team di seconda fascia, con l’obiettivo di crescere. Per poter partecipare alle corse avevamo bisogno degli inviti e per questo non avevamo un calendario prestabilito, dal momento che non sapevamo mai se avessimo potuto partecipare a una gara piuttosto che a un’altra. Poi è diventata uno squadrone; ma all’inizio era davvero una scommessa».

Gli anni in maglia BMC registrano diversi piazzamenti di rilievo (soprattutto alle Strade Bianche, alla Sanremo, al Fiandre e alla Roubaix), ma anche il terribile incidente in allenamento in Spagna. «Cadute ne avevo fatte tantissime, ma fortunatamente non mi ero mai rotto nulla. Ma in Spagna ho “recuperato” tutto con gli interessi». Che significa un femore rotto, tre coste spezzate, asportazione della milza, emorragia del rene e del polmone. «Che significa sei giorni di coma, dodici giorni di terapia intensiva, settanta notti di ospedale e tre interventi successivi a stomaco aperto. Sono riuscito a rientrare in gruppo, giusto per aiutare il compagno di squadra Ivan Santaromita a vincere il Campionato italiano nel 2013. Una vittoria che mi ha emozionato fino alle lacrime».

Educazione stradale fin da ragazzi

Oggi Alessandro Ballan è ancora attivo nel mondo del ciclismo come ambassador di alcune aziende di settore, tra cui ABUS, noto marchio di caschi e accessori, che ha supportato la serata. «Fa piacere vedere che hanno scelto l’Italia per la loro produzione», ha fatto notare Ballan. «Sviluppano, infatti, i loro caschi nello stabilimento produttivo a Camisano Vicentino (VI)».

Il campione veneto inoltre è molto attivo nella promozione dell’uso della bicicletta e della mobilità sostenibile, al punto che ha chiuso la serata con una considerazione - provocazione - raccomandazione: «In merito alla sicurezza sulle strade, in Italia c’è ancora tanto da fare. Bisognerebbe intervenire già a scuola sui ragazzi che sono i soli che possono richiamare i propri genitori in casi di comportamenti scorretti. Ma che, soprattutto, sono i nostri futuri automobilisti. Vorrei che l’educazione stradale venga insegnata a scuola, come una normale materia. Partire dalle basi, per poi sviluppare tutto il resto».

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