Il Muro di Sormano: diario della scalata - Puntata Quattro

Finalmente parliamo della salita, nel dettaglio. Affrontata con la nostra bicicletta economica, ma taroccata

Basta tergiversare, parliamo di questa salita nel dettaglio. Come raccontavamo nelle precedenti puntate (uno, due, tre), siamo andati a farla non per compiere un'impresa, ma per vedere quanto una salita terribile sia abbordabile semplicemente accorciando i rapporti troppo lunghi di una bici di serie, in questo caso una Decathlon Triban Easy.

Abbiamo deciso di iniziare la salita da Caglio, uno dei paesi che si trovano ai piedi di questa rampa disumana. 

Il motivo è che da lì è possibile accedere al Muro facendo un percorso quasi completamente privo di auto e pure bello. Di norma i ciclisti attaccano la salita dal fondovalle, ovvero da Erba (300 m) o da Canzo (400 m). Sono belle zone, con ville risalenti al Settecento, quando i milanesi venivano qui in vacanza. Questa frequentazione è aumentata dopo la costruzione di una ferrovia tra Milano e Asso. Tra i personaggi famosi che sono vissuti in questa valle, o che la frequentavano, ci sono Alessandro Manzoni (alcuni passi de I Promessi Sposi sono stati ispirati dal paese di Canzo), Alessandro Duroni (inventore del metodo positivo-negativo per la riproduzione delle foto, nel 1853) e Giovanni Segantini, il pittore degli struggenti panorami di montagna. Però la salita fino all’imbocco del Muro, se fatta da Erba o Canzo, è trafficata. Caglio invece è un paese che sta in disparte, dove si pedala molto meglio. Al tornante a quota 765 m si stacca la strada che entra nella parte vecchia del paese, chiusa al traffico.

Sarebbero 330 m di lunghezza con una pendenza media del 9,5%, ma in realtà dentro questo paese viene facile divagare.

Il motivo è che tutta la parte vecchia è un museo a cielo aperto che riproduce i più famosi quadri di Giovanni Segantini.

Giovanni è nato nel 1858 ad Arco di Trento, quando questa cittadina era sotto l’Austria. Di famiglia poverissima, già a 7 anni venne mandato a vivere a Milano da una sorellastra, che se ne sbatté altamente: in balia di se stesso, Giovanni finì in riformatorio. Si salvò da una vita da derelitto grazie alla passione per la pittura: riuscì a studiare a Brera e, poiché i suoi soggetti preferiti erano la campagna e le montagne, si stabilì in località che sfumavano dalla campagna alle montagne: Pusiano in Brianza, Caglio (già, proprio lei) e poi, in Svizzera, Savognin e il Passo Maloja. I suoi dipinti vengono considerati il tramite tra naturalismo e simbolismo. Riproduceva luoghi reali, ma scomponendoli e le scene riprodotte erano allegorie della vita e della morte. A 41 anni, a fine settembre 1899, si isolò in una baita a quota 2.730 m sul Monte Schafberg, in Engadina (Svizzera), per dipingere. Gli venne un attacco di peritonite e decise di scendere a Pontresina per farsi curare, ma si scatenò una tempesta di neve. Nell’attesa che le condizioni meteo migliorassero, morì.

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In giro per Caglio: le Due Madri (1889). Sono molti i dipinti di Segantini aventi come tema le madri con i figli.

A questo punto siamo nella parte alta del paese (800 m di quota) e prendiamo la strada che porta a Sormano, ma l’abbandoniamo in una curva a destra, dopo una leggera discesa. A sinistra, infatti, si stacca un percorso pedonale, ma pedalabile, che sale alla fatidica strada del Muro risalendo la Valle della Roncaglia.

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Sono 330 m all’11%, quindi è già una signora salita, ma non siamo ancora sul Muro. 

Notate bene che questa salita l’abbiamo fatta nel mese di gennaio 2024 quando, in teoria, avrebbe dovuto essere coperta dalla neve.

La strada del Muro si stacca nel punto in cui la nuova strada, quella che collega Sormano alla Colma di Sormano, raggiunge quota 830 m. I primi 150 m sono rassicuranti, essendo in leggera discesa. Ma un’equipe di scienziati di Palo Alto (California), dopo accurati studi ha stabilito che, se una strada famosa per la sua pendenza e lunga 1,8 km si presenta benevola per i primi 150 m, ciò non deve indurre a false illusioni. Il punto in cui inizia a salire è il ponte sul torrente Roncaglia. Poiché noi stiamo risalendo la Valle Roncaglia, ecco: la nostra ciclabile all’11% si innesta nel Muro proprio su questo ponte.

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Bene, ci siamo, la salita inizia adesso.

Il primo pezzo viene affrontato con la morte nel cuore, come quando ti stanno facendo entrare dentro una gabbia piena di pantere incazzate e sai che, inevitabilmente, verrai preso a morsi e dilaniato. Ma i primi 75 m hanno una pendenza media del 9,5%, quindi sono commestibili.

La parte dura inizia dopo una secca curva a destra, che c’è chi chiama tornante, anche se secondo noi non lo è. Si inizia subito con un tratto al 21%, poi si scende sotto al 20. Il fatto è che da questa curva, per un tratto di 1.600 m, la pendenza media sfiora il 17% e non c’è neanche un attimo di respiro. Facendo le misurazioni con il Gps io il famoso tratto al 27% non l’ho visto, a meno che non si voglia contare la parte interna del tornante a quota 1.025 m (ma tutti lo fanno all’esterno, questo tornante: non sono mica scemi). Nelle descrizioni su vari siti si leggono cose tipo “se pedali seduto è impossibile tenere la ruota anteriore attaccata a terra” o “se ti fermi è impossibile ripartire”. La prima affermazione è esagerata, la seconda no, nel caso si stessero usando i pedali automatici: ripartire non è impossibile, ma difficile. Io direi che non ci sono tratti così ripidi da ribaltarsi all’indietro, quello che fa impressione è che per un chilometro e seicento metri la pendenza non molla un attimo! E sappiamo bene come già soltanto 25 metri al 20% possano sembrare eterni… Nel momento in cui si supera la prima curva a destra e ci si trova a pompare sul tratto al 21%, ci si illude subito che sia di breve durata, mentre non è così.

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Questo tratto è al 21% ma, come sempre, rendere la pendenza in fotografia è difficile.

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Il cervello ti parla e ti scongiura di prendere qualsiasi altra direzione venga indicata.

Quello che contiamo come primo tornante arriva a quota 880 m. Fino a qui si può arrivare con l’auto. Dopo no, c’è una sbarra di legno.

Facendo la foto all'interno, si capiscono la pendenza (che di profilo sembra sempre modesta) e il motivo per cui i ciclisti amino fare i tornanti pedalando il più possibile all’esterno.

La prima scritta è una delusione, perché è sbiadita. Non riusciamo neanche a leggere cosa ci sia scritto.

Nelle foto ho sempre visto quelle scritte avere le lettere bianche e sgargianti. Questo vuol dire che la strada sta andando di nuovo in malora? Sarebbe un peccato, anche se sono passati già 18 anni da quando la Comunità Montana del Triangolo Lariano decise di investire quei quasi centomila euro per farla rinascere. Tra le varie scritte c’erano anche indicazioni sulla flora del posto e sulle montagne visibili, ma non le abbiamo viste. Cosa diceva la prima scritta? C’era una frase di Gino Bartali a commento di questa salita, quando venne a sapere della sua esistenza, nel ’60:

“Un passista non ha alternative. Deve arrivare ai piedi del Muro con almeno dieci minuti di vantaggio così poi, se lo fa a piedi impiegando un quarto d’ora di più di quelli che lo faranno in bici, arriverà in cima con cinque o sei minuti di ritardo e potrà ancora sperare”.

Oltre al degrado della vernice ci colpisce anche il fatto che, per tutta la salita, incontreremo soltanto un ciclista (su una e-bike). In compenso c'è tanta gente che sale a piedi, chiacchierando.

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Ѐ incredibile quanto lunghi possano sembrare due chilometri, se li devi fare su una rampa del garage.

La seconda scritta compare verso i 940 m ed è la classifica dei dieci migliori tempi al Giro di Lombardia del 1960, quindi con il miglior tempo di Imerio Massignan in 10'09".

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La terza scritta compare subito dopo ed è ancora leggibile: qui c'è la classifica del 1961, quando in vetta passarono per primi Massignan e Taccone, ma il miglior tempo lo fece Panbianco, 11'20". Chissà perché quest'anno furono più lenti di quasi un minuto e mezzo?

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Il Giro di Lombardia viene chiamato "La Classica delle foglie morte" perché si corre ad inizio autunno. Ma a gennaio ci sono ancora parecchie foglie per terra.

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Verso quota mille metri c'è un tratto di 200 m al 19,5%.

Il tornante a quota 1.015 m è senz'altro il punto più ripido dell'intera salita, ma solo se lo prendi all'interno. Forse è qui il famoso 27%. Nessuno, ovviamente, è così fesso da curvare stretto! Qui sarebbe stato da farci una foto adeguata, dal basso e all'interno, invece c'ho girato un reel per Instagram. Peccato! Ci stava, una foto fatta bene qui.

Fotogramma tratto dal reel, che non fa capire la pendenza disumana dell'interno della curva. Ma Paola, saggiamente, passa tutta all'esterno.

A quota 1.040 m la strada "spiana" con un tratto di 130 m al 14% e compare la quarta scritta, quella con i migliori tempi del 1962. Quella in cui Ettore Baldini, che non era uno scalatore puro, stracciò il record "della pista" con uno strepitoso 9'24"

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Finalmente, a quota 1.054 m la strada esce dal bosco. La somma di pendenza e immersione della foresta ci stava facendo venire la claustrofobia. 

Seguono 130 m al 17%, ma sembrano di più un po' per la fatica accumulata e un po' per effetto ottico.

Siamo intorno ai 1.070 m e compare la quinta scritta, quella dove Gino Bartali parla dei rapporti.

“Davanti il 50 e il 42 dietro il 24, 17, 19, 23, 26, perché codesta gli è una salita da fare col 42×26. Un si scappa è durissimo il primo strappo che si dovrà fare quasi da fermo, perché viene dopo una curva a gomito. Saranno duri quei 2 chilometri abbondanti che ci son da scalare in quanto presentano curve secche con impennate paurose. Sarà difficilissimo l’ultimo strappo". L'ultimo strappo misura 130 m di lunghezza, per una pendenza media del 18%. Quindi non è il tratto più ripido, ma è faticoso perché arriva dopo tutto il resto...

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Per arrivare all'ultimo strappo c'è l'ultimo tornante, a quota 1.074 m

Ѐ la famosa frase di Ercole Baldini che abbiamo già proposto per intero in Puntata Uno. La riproponiamo, perché esprime tutto il suo odio per questa salita: "Non mi posso rendere conto del motivo per cui Torriani abbia voluto scegliere una novità di tale genere. Capisco che il Ghisallo non dava più garanzie di selezione, ma francamente si è esagerato nel senso opposto. Questa salita è semplicemente bestiale, impossibile da percorrere". Eppure è stato proprio lui a stracciare il record di questa salita, come mai tanto odio? Bisogna però considerare che quel record è dovuto alle spinte di migliaia di tifosi, che lo fecero salire a razzo, mentre altri non vennero aiutati per niente.

Questo è il tratto finale di quei 130 m al 18%. Di colpo si esce dal bosco e si gode di un panorama straordinario.

A sinistra, per chi sale, si vedono la Pianura Padana e gli Appennini. Dritto, invece, la Colma di Sormano con il suo rifugio e l'osservatorio astronomico. Ѐ fatta! In realtà mancano ancora 75 m all'11% per finire la strada del Muro e 65 m al 7% per arrivare alla Colma di Sormano (1.121 m), dove inizia la discesa dall'altra parte, verso il Lago di Como, attraverso il Pian del Tivano.

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Il panorama dalla Colma verso sud è straordinario.

Dopo un Muro come questo è fantastico entrare nel rifugio e rilassarsi con tè caldo e torta.

Poi ci godiamo il tramonto su Milano e sugli Appennini.

Una delle Leggi Fondamentali della Fisica dice che, se ti godi il tramonto in cima a una discesa, per tornare a casa ti aspetta una bella notturna. In più, essendo gennaio, la temperatura scende sotto allo zero, per cui segue il rito della vestizione invernale.

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Potremmo scendere direttamente dal Muro, ma immaginiamo che sia uno stillicidio di frenate continue e mal di mani da cima a fondo. Per cui scegliamo la strada nuova, quella che ha una pendenza media di meno della metà. Di fronte a noi si vede ancora il Grignone.

Fare le discese, di notte, sotto lo zero fa sentire freddo? Ѐ impressionante come bersi al volo un tè bollente lo faccia passare. 

A proposito di tè caldo, citerò il romanzo Aria Sottile di Jon Krakauer del 1997, riferito a una tragedia realmente avvenuta sull'Everest l'anno prima, quando il maltempo e l'inesperienza avevano seminato una strage in due spedizioni "turistiche". Mi aveva colpito la figura della guida neozelandese Rob Hall, che era rimasta intrappolata sulla vetta, nel pieno della tempesta, a mani nude perché aveva perso i guanti. Essendo solo e con le mani congelate, non poteva scendere, ma era collegato via radio con il campo base e continuava a ripetere: "A me basta che portiate quassù del tè caldo". Per questo, anche se nell'iconografia tipica del ciclista ci sono le birre e i caffè, il tè caldo è uno stretto componente del fascino che i climi invernali esercitano su di me.

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Caglio slums.

Caglio by night. Paolina ringrazia la sua coroncina da 30 denti che le ha permesso di salire sul Muro senza essere un'atleta professionista.

Gita e racconto finiscono qui, ma devo aggiungere una cosa. Il Muro di Sormano è, forse, lo strappo in salita più duro mai affrontato da una gara per professionisti. Stiamo parlando di circa 2 km al circa 17%, è roba davvero rara. Però non è la salita più dura. Esistono dei criteri, che tentano di essere scientifici, che danno un punteggio in base alla lunghezza, alla pendenza media, a quella massima, alla lunghezza dei tratti in forte pendenza, alla quota (più elevata è e più punti vengono dati), alla lunghezza dei tratti sotto il sole... Il sito www.salite.ch è una miniera di salite analizzate e classificate. Ora, il Muro è sì terribile, ma è corto. Supera un dislivello davvero modesto, In base a quel sito, si becca 497 punti. Secondo www.climbfinder.com, invece, 433. Questo sito elabora il metodo Cotacol, dividendo le salite in tratte di 25 m e dando un punteggio a ciascuna di esse in base alla pendenza. La somma totale dà il punteggio finale della salita. Il Passo dello Stelvio da Prato si becca, sui due siti, 1.417 e 1.528 punti, quindi il triplo del Muro di Sormano e questo nonostante abbia una pendenza media del 7,6%. In questo caso, a renderlo così duro sono la lunghezza (25 km) e l'alta quota raggiunta (2.757 m), dove si respira a fatica. Quindi ha una pendenza "normale", ma un dislivello esagerato. Il mitico Passo del Mortirolo da Mazzo, che rese famoso Marco Pantani, vale 1.516/1.577 punti perché presenta una pendenza media dell'11% su un tratto di ben 12 km, quindi è una via di mezzo tra Stelvio e Muro di Sormano. La Sella dello Zoncolan è la peggiore salita mai affrontata dal Giro d'Italia e vale 1.660/1.764 punti, perché è della stessa tipologia del Mortirolo, ma un po' peggio (10 km al 12%). Queste salite sono famose perché ci si disputano gare per professionisti, ma non sono certo le peggiori. A titolo di esempio ne citiamo due: il Dos dell'Asino, in Valcamonica, vale 2.747/3.031 punti (!!!) perché sfiora una media del 18% su una tratta di 8 km, quindi è lungo quattro volte il Mortirolo, con una pendenza media leggermente superiore e un tratto di 100 m oltre il 33%. Salite.ch dà ben 3.053 punti alla Roque de Los Muchachos, alle Canarie, perché è lunga quasi come lo Stelvio (21 km) e ha una pendenza da Mortirolo (sfiora l'11%). Non solo: è discontinua e ha un tratto centrale che, per ben 4 km, ha una media del 19,5%. Traduzione: non solo ha un dislivello mostruoso (2.270 m) ma lì in mezzo ci ficca due Muri di Sormano consecutivi, più ripidi.

Infine...

...mi sono imbattuto in salite spaventose, di cui non trovo notizie in giro, a livello ciclistico. Qualche esempio, La Lienz-Karlsbaderhutte, in Austria: 13,5 km al 12%, di cui gli ultimi 6 finali sono sterrati. Poi c'è la Sella Festons, in Carnia, se raggiunta dal fiume Lumei: 4,5 km al 16%, di cui gli ultimi 2,5 al 20%: in pratica due Muri di Sormano di fila. Ce ne sono due che sono sterrate ma larghe, per cui c'è il rischio che il Giro le scopra e le asfalti: il Passo Campelli dalla Valle Camonica (11 km al 14%) e la delirante Colma Bugone da Moltrasio, sopra il Lago di Como: 3 km al 24,5%.

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