Matej Mohoric vince la Milano Sanremo

Lo sloveno che non t’aspetti attacca sulla discesa del Poggio e conquista la Classicissima di primavera, lasciandosi alle spalle tutti i big più accreditati.

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Matej Mohoric posa con il trofeo appena conquistato (foto LaPresse-D'Alberto/Ferrari/Alpozzi)

Parla sloveno la prima grande Classica della stagione, con Matej Mohoric che vince la Milano Sanremo e impreziosisce la bacheca della sua squadra, la Bahrain Victorious, con un trofeo che - da solo - vale una carriera.

Passo indietro. Sanremo: per tutti la Città dei Fiori. O la città del Festival. Anzi, no: per quasi tutti. Per gli appassionati di ciclismo non c’è bouquet o canzone che tenga: Sanremo è la città della “Classicissima”. E la Classicissima è l’inizio ufficiale della stagione. Non importa che ormai la stagione si sia dilatata a dismisura e che di gare - tutte belle, tutte avvincenti (basti pensare all’ultima Tirreno - Adriatico, per non parlare delle Strade Bianche) - se ne siano già disputate a pacchi: per chi ragiona a pedali, la stagione è ancora compresa tra la Sanremo e il Lombardia, le due “Classiche Monumento” Made in Italy sulle cinque del calendario mondiale.

Dopo due anni, si è tornati sul percorso tradizionale, con il Turchino a metà gara ad aprire le danze e il mitico drittone di Via Roma a chiudere le ostilità. Di primo mattino ci si è ritrovati tutti - nel consueto caleidoscopio di maglie colorate, bici bellissime e ruote futuristiche - al Vigorelli di Via Arona, “il” velodromo dal passato regale (ha incoronato Re dell’Ora Fausto Coppi e Francesco Moser), che purtroppo oggi ha un po’ il fiato corto. Ma tant’è: oggi, per la prima volta nella sua gloriosa ciclostoria, ha ospitato la partenza della Classicissima.

Pronti, partenza... e neanche il tempo di dire “Via” che se ne vanno in otto: Yevgeniy Gidich, Artyom Zakharov (Astana Qazaqstan), Alessandro Tonelli (Bardiani-CSF-Faizanè), Samuele Rivi, Diego Pablo Sevilla (Eolo-Kometa), Filippo Tagliani, Ricardo Alejandro Zurita (Androni-Sidermec) e Filippo Conca (Lotto Soudal).

Arriveranno a prendere fino a sette minuti e rotti di vantaggio, secondo un copione visto spesso in questo tipo di corse, che vuole un manipolo di coraggiosi uscire alla speraindio dal girone dei dannati e battersi contro un destino già scritto che, a sua volta, li batterà appena i grandi (ma non lo sono anche loro?) mostreranno i denti (dei pignoni). Saremo sull’ottovolante dei Capi, piena Via Aurelia, con il profumo del traguardo sempre più intenso.

Dicono che lo fanno (anche) per dar visibilità allo sponsor. Sarà. Ma la fatica ti taglia lo stesso le gambe. Succede, come previsto, intorno al Capo Berta, quando il drappello inizia a sfaldarsi. Fino ad allora, gli otto davanti a menare in doppia fila e dietro il gruppo a controllare che il vantaggio non si dilatasse in modo da diventare ingestibile: un lungo trasferimento sul filo dei 50 all’ora fino al verdetto dei Capi: termine dell’avventura e fine dei sogni. Ma tanto di cappello: duecentocinquanta chilometri al vento, cha sarà stato pure a favore, ma pur sempre intriso di sudore e fatica ai massimi livelli.

In due, Rivi e Tonelli, terranno addirittura fino ai -8: l’arrivo sarebbe lì a un colpo di pedale, Milano è passato remoto, siamo già sulle rampe del Poggio. Dove però Tadej Pogačar (Uae Team Emirates) onora il pesante fardello dell’essere il favorito - nonché il preziosissimo lavoro di Davidino Formolo, buttato lì a tenere una media da paura tra la Cipressa e il Poggio - con quattro fucilate tanto potenti quanto inutili: correre da favorito, dopo aver razziato Strade Bianche e Tirreno, significa che nessuno ti regala un millimetro.

Si scollina tutti insieme, per una discesa dalle mille promesse. Allo sloveno Matej Mohoric bastano due tornanti per mettersi davanti e iniziare una picchiata a tomba aperta: ci vediamo al traguardo. «Sono riuscito a salire con i primi sul Poggio», spiegherà nell’immediato dopo corsa, «e mi son detto: “O oggi o mai più”. Ed è stato oggi». Spiegherà dopo che un particolare reggisella innovativo lo ha aiutato nei funambolismi al limite della gravità.

Mohoric ha poi ammesso che puntava alla Sanremo da tutto l’inverno. Se per i pronostici era una seconda scelta, lui invece ci credeva. «Ero proiettato verso la Classicissima nonostante i problemi fisici di febbraio e la caduta alle Strade Bianche che mi ha costretto a interrompere la preparazione per quattro giorni, per via di un’infiammazione al ginocchio. Non ho mollato, mi sono sottoposto a sedute di fisioterapia tutti i giorni e ho voluto recuperare a tutti i costi».

Per lo sloveno si tratta della prima affermazione pesante, anche se va sottolineato che non si tratta certo di un Carneade qualsiasi: nel suo palmares figurano, tra le altre affermazioni, due tappe al Tour, una al Giro, una alla Vuelta, un titolo nazionale, due top ten alla Liegi e il decimo posto alla Sanremo 2020. Oggi si è sciroppato i 293 km ufficiali in 6h27’49”, alla media di 45,331 km/h, la seconda più forte di tutti i tempi (il record appartiene a Gianni Bugno, quando vinse la Sanremo 1990 alla media di 45,806 km/h). A lui i ventimila euro di prima moneta (montepremi complessivo di cinquantamila), da dividere come consuetudine con compagni di squadra e staff.

Il podio si completa con il francese Anthony Turgis (Total Energies), secondo a 2” e l’olandese Mathieu Van der Poel (Alpecin Fenix) terzo (s.t.). Pogačar firma comunque un onorevolissima quinta posizione; il belga Wout Van Aert (Jumbo Visma) è ottavo.

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